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Agguato a Taranto, che Paese è questo

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Il corpo massacrato del piccolo Domenico di Taranto, che segue di poco la barbara uccisione di “Cocò” di tre anni a Cosenza, non chiede una rapida lacrima archiviabile in 48 ore. La rabbia per la barbarie del delitto è enorme. Ma esige anche un esame di coscienza da parte di tutti.

Che Italia sta diventando questa, in cui la criminalità straccia persino il vecchio codice che voleva salvi i bambini? Che paese è questo, in cui la malavita si espande in tutte le regioni, si mescola a malaffare e mala politica e si fa forte di un disfacimento diffuso delle regole,di una corruzione rampante, di un’evasione impunita, del trionfo di una cultura giuridica da azzeccagarbugli per cui la professoressa che punisce un alunno prepotente verso un compagno, accusato di essere gay,viene condannata in tribunale per eccesso di autorità? Che paese è questo in cui un delinquente è chiamato a riformare la Costituzione, un capitano vigliacco fugge dalla nave, che ha portato al naufragio con 32 vittime, e si permette di insultare la stampa, che paese è questo in cui quattro minorenni del “branco”, accusati di aver usato violenza a una compagna, al ritorno dall’arresto vengono salutati dalla classe con torta e striscione, come a Finale Ligure?

Domenico, freddato brutalmente, dovrebbe costringere tutti a guardarsi allo specchio e a domandarsi se il massimo dell’urgenza si riduca all’osservanza dei parametri di Maastricht, al controllo dello spread e al rispetto del fiscal compact. Domenico ci ricorda di non essere morto in un “episodio” di criminalità, perché se l’Italia alimenta metà della corruzione dell’intera Ue non c’è nulla di episodico nella presenza di una sfera criminale dalle molte sfaccettature.

Il bimbo di Taranto ammonisce non solo che è follia il programma di cieche sforbiciate alle forze dell’ordine in nome della spending review. Lancia in faccia a tutti un monito più grande. La necessità di riconoscere che l’Italia si sta sfasciando in un caos,dove latitano senso morale, responsabilità civica e nobiltà di osservare le regole del convivere.

Dal Fatto Quotidiano del 19 marzo 2014 

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