Due gruppi di donne. Entrambi si definiscono femministi. Il primo è seduto dentro una sala del Wedge House, a Southwark, Londra. In trecento, il 15 marzo, erano in fibrillazione per la nascita del braccio inglese di Stop porn culture, organizzazione già presente in Stati Uniti, Norvegia, Germania e Austria. “Non siamo solo contro l’industria pornografica, ma ci opponiamo anche alla cultura del porno da cui siamo oppresse”. E mentre Gail Dines – fondatrice di Stop porn culture e autrice del libro ‘Pornland – Come il porno ha dirottato la nostra sessualità‘ (edito da Beacon Pr nel 2011) – spiega quanto l’industria pornografica distrugga l’immagine femminile e per questo debba essere fermata, in strada si sentono gli slogan delle dirette interessate: prostitute e sex workers.

“Nessuna di noi è stata obbligata a prostituirsi o a essere un’attrice porno. Censurare non serve a nulla: fermiamo i protettori non chi lavora”. Renée Richards sta dall’altra parte della barricata, in prima fila nella contro-manifestazione organizzata da Sexual freedom coalition. Ha 29 anni ed è incinta di cinque mesi. Il suo compagno, le è accanto. “Ho lavorato come spogliarellista per quattro anni e come pornostar per cinque. Il sesso tra adulti consenzienti non può essere criminalizzato né deve essere confuso con l’abuso su donne o minori”.

Una posizione neppure contemplata da Stop porn culture, movimento nato negli anni Settanta il cui obiettivo è eliminare del tutto il porno. “Promuovere la conoscenza dei pericoli della pornografia significa rendere le persone consapevoli di quanto questa industria sia misogina, arrivando un giorno a sradicare del tutto questo fenomeno”, spiega Gail Dines.

Secondo Stop porn culture l’industria pornografica ha distorto la visione del sesso e della sessualità. “Cosa succederà ai ragazzi cresciuti con la libera circolazione della pornografia online quando diventeranno adulti?”, si chiede Julie Bindel, giornalista del Guardian e fondatrice di Justice for women.

Una domanda che deve essersi fatto anche il primo ministro David Cameron, quando l’estate scorsa ha dichiarato che la pornografia “sta corrompendo i nostri figli”. E per impedire ai minori l’accesso ai siti a luci rosse aveva proposto l’immissione obbligatoria dei dati bancari. Cameron stava andando nella stessa direzione di Bruxelles, che a fine febbraio ha votato una risoluzione a favore della criminalizzazione del cliente sessuale.

Ma l’idea del primo ministro inglese aveva suscitato polemiche tra quanti in Inghilterra ritengono la misura inefficiente e quanti invece la considerano un’intrusione inaccettabile da parte del governo. A chiudere il dibattito ha contribuito il recente arresto di Patrick Rock, consulente di Cameron nel progetto, per detenzione di materiale pedopornografico.

Una campagna, quella contro il porno, che le attiviste di Stop porn culture sono decise a portare avanti con o senza l’appoggio del governo. Per loro, prostituzione e pornografia sono due aspetti dello stesso fenomeno: un clima di crescente abuso sulle donne. “Non capisco come sia possibile slegare la pornografia dalla prostituzione”, puntualizza Rebecca Mott, ricordando quando tra i 14 e i 27 anni era obbligata a prostituirsi tra Manchester e Cambridge.

Da qui l’idea che concedere diritti a chi lavora nell’industria pornografica equivalga alla “normalizzazione” di un abuso. “La maggior parte di loro smetterebbe di fare questo lavoro se potesse”, dice Gail Dines. Al contrario Cari Mitchell, ex prostituta e presidente dell’English collective of prostitutes, conferma che i casi di sfruttamento esistono eccome, ma è proprio l’assenza di diritti che rende impossibile denunciarli: “Le campagne di Stop porn culture sono contro le donne. Criminalizzano il porno ci spingono ai margini della società”.

Il tema della violenza sulle donne è al centro dell’ultima statistica dell’agenzia per i diritti di Bruxelles. L’indagine, condotta per la prima volta su 28 paesi europei, ha rilevato che il problema colpisce 62 milioni di cittadine. Violenza fisica, sessuale, psicologica.

E mentre le pornostar femministe gridano in strada slogan sulla libertà sessuale, le altre femministe – quelle contrarie alla cultura dell’immagine – le guardano dall’alto dell’edificio in cui stanno festeggiando la nascita del loro movimento anti porno. “Le lavoratrici sessuali manifestano perché hanno paura – conclude l’organizzatrice di Stop porn culture – Loro sanno che vinceremo. Lasciamole divertire per un’ultima volta”.

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