Il grande antropologo francese Marc Augé sostiene che la stupidità si autoalimenti. Per evitare dunque di ravvivare il fuoco della mediocrità è legittimo pensare che di certi argomenti, forse, sarebbe meglio non parlare proprio. Tuttavia appare doveroso, oggi più che mai, evidenziare l’abisso nel quale siamo caduti affinché i negazionisti di domani non possano avere vita facile nel sostenere che tutto quello a cui siamo costretti ad assistere, in realtà, non sia mai accaduto. Parafrasando la nota favola di Werner Henze, potremmo dire che non è ignorando il nulla che avanza che ci salveremo dai suoi effetti nefasti. Quando personaggi come Giovanni Allevi e Giulia Mazzoni sono invitati presso il Senato della Repubblica Italiana o vincono premi pianistici come il Ciampi, è chiaro che Atreiu ha fallito di brutto e che le tenebre stanno definitivamente oscurando quel po’ di buon gusto e di ragionevolezza rimasta a FantAlia.

Tengo a precisare sin d’ora, che ad essere in discussione in questo articolo non è certo la collocazione nel mercato di questi personaggi, quanto la loro legittimazione culturale e l’ambito musicale nel quale si pretenderebbe di iscriverli.

Autorevole portavoce del profondo disagio che esiste nei confronti di queste realtà musicali è Uto Ughi, che di Allevi dice testualmente: “Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista… Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del nostro paese: prevalgono sempre le apparenze… Le composizioni sono musicalmente risibili e questa modestia di risultati viene accompagnata da dichiarazioni che esaltano la presunta originalità dell’interprete. Se cita dei grandi pianisti del passato, lo fa per rimarcare che a differenza di loro lui è “anche” un compositore. Così offende le interpretazioni davvero grandi: lui è un nano in confronto a Horowitz, a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina. Questo deve essere chiaro… Il suo successo è una conseguenza del trionfo del relativismo: la scienza del nulla, come ha scritto Claudio Magris… In altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio… Non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile. E perfino nel suo campo, ci sono pianisti, cantanti, strumentisti, compositori assai più rilevanti di lui… Si tratta di un’esaltazione collettiva e parossistica dietro alla quale agisce evidentemente un forte investimento di marketing… Lui si ritiene un profeta della nuova musica… Ma forse non è neppure il vero responsabile di quello che dice”.

Le parole del grande violinista suonano come una liberazione di fantozziana memoria (la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca…) delineando al contempo i numerosi lati oscuri che si celano dietro lo strano caso del Cavalier Allevi e Ms. Mazzoni:

1- Un potente ufficio stampa e un nutrito gruppo di giornalisti ben disposti possono convincere un’opinione pubblica totalmente disinformata di qualsiasi cosa: perfino del fatto che un musicista mediocre come Allevi sia un novello Mozart o che una modestissima esecutrice come Giulia Mazzoni sia una pianista di talento. Anche se nella società dell’immagine è sufficiente agitarsi su un podio con molti capelli in testa o strimpellare un motivetto al pianoforte per essere presi in seria considerazione, a tutto c’è un limite!

2- Le istituzioni, o quel che ne resta, hanno gravissime responsabilità nell’avallare simili personaggi, alimentando un degrado culturale senza fine; uno scempio spudorato che infiacchisce ulteriormente chi si dedica allo studio della musica con rigore, sacrificio e serietà. Invitare Allevi a suonare in Senato è senza dubbio lo specchio dei tempi: un compositore anonimo e insignificante per compiacere un’incolta pletora di parvenus (riferito a molti dei nostri uomini politici).

3a- Contrabbandare la musica di questi autori per musica classica ci espone, come Paese, al pubblico ludibrio. I loro brani stanno alla musica  d’arte (e a quella leggera di alto livello) come i fumetti alla letteratura seria. Si tratta per lo più di motivetti da ascensore o sala d’aspetto; composizioni infantili prive di qualsiasi profondità, spessore, o reale ambizione artistica. Mi perdonerà il Maestro Ughi se, per esigenze prettamente divulgative, cerco di interpretare ed argomentare le sue parole quando afferma che quelle di Allevi sono “composizioni musicalmente risibili”. Per chi è abituato a godere della sensuale complessità del sistema tonale (quello con cui si scrive il 90% della musica) nonché di tutte le sfumature espressive che esso consente, un brano di Allevi ha lo stesso appeal di un’utilitaria per un pilota di formula uno, o di un vino in cartone per un sommelier. Questo non vale certo solo per gli addetti ai lavori, ma anche per chiunque abbia un’educazione musicale di base, o anche solo un po’ di buon gusto. Il paragone con Mozart è impossibile da considerare seriamente, è semmai solo una’astuta trovata pubblicitaria. Per il primo infatti, la semplicità apparente che traspare all’ascolto è una divina sintesi di elementi complessi ed esigenze espressive alte. Per il secondo, invece, è la sola strada praticabile, sia per totale mancanza di talento, che di coraggio compositivo, che di esigenze espressive profonde. La verità, è che quella di Allevi è solo musica leggera, di pessima fattura, suonata al pianoforte. Da questo punto di vista, sarebbe molto più logico considerare classici dei brani come Who wants to live forever dei Queen o l’apertura di Shine on you crazy diamond dei Pink Floyd. Di classico, i brani di Allevi e della Mazzoni hanno solo lo strumento con il quale sono eseguiti…

3b -Gli addetti ai lavori mi perdoneranno la semplificazione. Da un punto di vista armonico le musiche di Allevi e Mazzoni sono insignificanti, prevedibili, mai originali nonché basate su armonie tipiche della peggior musica leggera. L’accostamento con la meravigliosa complessità armonica propria dei migliori brani appartenenti al repertorio classico o romantico fa ridere! Melodicamente (e per due autori italiani è un bel problema) c’è poco o nulla. Anche solo se paragonati a compositori come Morricone o Piovani, costretti da esigenze cinematografiche a partorire bei temi, Allevi e la Mazzoni spariscono totalmente. Allevi non potrebbe mai scrivere un brano elegante e maestoso come Gabriel’s Oboe di Morricone. Alla Mazzoni invece, non potrebbe mai venire in mente nemmeno un motivo grazioso come quello di La vita è bella di Piovani. Figuriamoci il Requiem di Mozart o un Notturno di Chopin. Altri tempi, altri  personaggi, altre vite… Ritmicamente, i pezzi dei due pianisti sono monotoni, ripetitivi (senza esserlo volutamente come nel minimalismo) reiterando schemi banalissimi e di una noia mortale. Da un punto di vista timbrico infine, Allevi e la Mazzoni sembrano ignorare totalmente (e non so quanto consapevolmente) molte delle sublimi possibilità timbriche esplorate lungo tutto il Novecento… Salvo rare eccezioni, tale è la pochezza di questi due musicisti, che nonostante il possente dispiego di mezzi schierato per imporli come autori classici, i loro nomi figurano più spesso sui cartelloni delle feste estive di paese, che non nelle locandine di prestigiosi teatri internazionali.

4- In quanto fenomeno prettamente mediatico, esiste il più che fondato sospetto che Allevi in particolare, sia un personaggio telecomandato cui far dire una serie di grossolane scemenze nel tentativo di attirare (tramite la sponda di media compiacenti) l’attenzione di un pubblico sempre più assuefatto agli annunci mirabolanti. Quando un microbo del pentagramma come Allevi osa parlare di Beethovendovrebbe scattarne spontaneamente una raccolta firme per ottenerne l’esilio prolungato… Consentire questi continui accostamenti ai giganti della musica senza ribellarsi violentemente, è una follia che può accettare solo un paese come il nostro, abituato a subire soprusi di tutti i tipi da oltre vent’anni.

5- Considerare Allevi e Manzoni dei grandi pianisti, quando in giro c’è gente come Bollani, Lang Lang o Bahrami (senza scomodare esecutori del calibro di Maurizio Pollini) è assolutamente oltraggioso. Questi sono esecutori di un altro pianeta, persone di ben livello intellettuale prima ancora che musicale. Esecutori che, al contrario dei due pianisti modaioli, godono del favore della stampa internazionale, nonché del plauso di pubblico raffinato e molto esigente.

6- Aggiungo una considerazione di carattere più personale. Il merito principale della scuderia di Allevi & Co è certamente quello di aver occupato una zona rimasta colpevolmente vuota a causa dell’egemonia di un certo modo di fare, intendere e proporre la musica strumentale; un modus musicandi che ha finito con lo spingere tra le braccia di questi personaggi un pubblico che, diversamente allettato, avrebbe potuto orientarsi verso orizzonti musicali altri. Immaginare una musica classica semplificata (o entry level) che stimoli i ragazzi (e non solo) ad avvicinarsi alla musica d’arte, è tutt’altro che una cattiva idea. Se ascoltare le musichette di Allevi fosse propedeutico alla fruizione di autori come Chopin o Satie, non ci sarebbe nulla di male, anzi! Quello che nel caso specifico appare quindi criminoso, è spacciare Allevi per Pollini e la Mazzoni per Glenn Gould, nonché le loro risibili composizioni per musica d’arte.

Tuttavia, risulta difficile condividere del tutto la profonda antipatia professionale che molti musicisti nutrono nei confronti di Allevi (e discepoli). Siamo di fronte ad un autore che ha avuto un grande successo commerciale ed istituzionale, suonando la propria musica. Non è a lui che dobbiamo o possiamo rimproverare qualcosa… Semmai, come diceva il grande Ettore Petrolini: “Io non ce l’ho con te, ma con chi ti sta di fianco e non ti butta di sotto”.

Inoltre, la netta sensazione è che molti di questi personaggi costruiti a tavolino, non abbia la benché minima idea di quello gli accade realmente intorno. Temo ad esempio che Allevi o la Mazzoni, non siano propriamente consapevoli del ridicolo al quale si espongono, presso un pubblico anche solo vagamente consapevoleogni volta che parlano o suonano. Quando decidono di pubblicare un disco, di esibirsi in una performance o di concedere un’intervista, lasciano dietro di sé una traccia, un documento indelebile a testimonianza della modestia dei tempi che viviamo e, soprattutto, della drammatica mancanza di giornalisti e critici intellettualmente onesti (nonché musicalmente preparati). In tal senso, si ha la sensazione che quello costruito attorno a loro sia una sorta di habitat protetto, realizzato ad arte (modello Truman Show) da manager e produttori che, per proteggere le loro galline dalle uova d’oro, sarebbero giustamente disposti a tutto.

Come accogliere seriamente il video in cui Allevi va a caccia di mosche agitando la bacchetta mentre crede di dirigere l’inno di Mameli e Novaro, con l’Orchestra Sinfonica della Rai che, molto crudelmente, nemmeno lo guarda? Fuori della grazia di Dio è anche il video che ci consegna un’apatica Giulia Mazzoni che strimpella una specie di incomprensibile motivo su una tastiera di plastica (Panorama). Siamo oggettivamente ai livelli di Richard Benson che reinterpreta The Wall al Coetus (mentre il pubblico lo ricopre di yogurt) o del critico d’arte Andrea Diprè che vaneggia a proposito dei quadri di un mefitico Osvaldo Paniccia! A chi importa se la musica c’è o non c’è, quello che si vende qui è un prodotto per le masse, una sorta di Junk Music ascolta e getta veicolata tramite un direttore d’orchestra in stile Peter Pan e una pianista manga in versione Super Saiyan.

In conclusione, è proprio da queste considerazioni che non può non nascere un minimo di empatia e solidarietà nei confronti dei due pianisti; sentimenti che scaturiscono dalla netta sensazione che queste persone non abbiano piena coscienza di quello che fanno o che soprattutto, gli consigliano di fare e dire. È innegabile che, ascoltando Allevi parlare nelle numerose apparizioni televisive e radiofoniche a lui riservate, si abbia l’impressione di un personaggio che non ha nell’intelligenza (non trovo un termine meno offensivo) la propria arma migliore. Non c’è nulla di poetico in un signore di oltre quarant’anni che si esprime come un liceale. Frasi sconnesse, periodi privi di una conclusione logica, teneri vaneggiamenti filosofici alternati ad imbarazzanti silenzi meditativi, aneddoti penosi e totalmente fuori luogo (quello delle piastrelle è di altissimo livello). Caratteristiche oggettivamente riscontrabili che cozzano decisamente contro la pretesa di essere considerato un compositore, pianista, poeta, filosofo, genio nonché profeta

Nasce infine il sospetto che l’imitazione del pur bravissimo Zalone, non sia infondo una delle più riuscite proprio perché tarata su un personaggio che per sua natura, è già profondamente caricaturale.

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