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Governo Renzi, sull’informazione nemmeno una parola

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Questo nuovo Governo non ha fin qui detto una sola parola sul tema dell’informazione. Non ha detto nulla sulla riforma della Gasparri e sul destino della Rai. Nulla sul conflitto di interessi, nulla sulle frequenze e sulla concentrazione del mercato pubblicitario. Ma se non parla, indirettamente il nuovo esecutivo manda alcuni significativi segnali.

Al Ministero dello Sviluppo Economico, che ha la responsabilità del settore televisivo, è stato destinato un ministro di stretta fiducia berlusconiana. La delega al sottosegretario Pd, già direttore di Canale 10 di Cecchi Gori, è stata limitata alle Tlc e alle frequenze, quindi non all’emittenza pubblica e privata che restano materie di stretta competenza del ministro. Ha poi nominato un altro sottosegretario segnalatosi per le pesanti pressioni su un giornale locale per non far pubblicare notizie scomode per la sua famiglia. Ha confermato alla Giustizia un sottosegretario chiamato in causa nel caso Agcom AnnoZero.

Ora nessuno può fare un processo alle intenzioni in assenza di esplicite determinazioni in materia, ma resta l’amaro, anzi il fiele in bocca, che uno che si era proposto per un cambio profondo, alla fine si è accordato sui temi cari al Cavaliere quanto se non più di qualunque altro eroe andato al governo in questi anni per il centrosinistra. C’è in effetti una sola novità. Usa Twitter per farsi una informazione personale, lasciando il resto alla solita commedia di regime. Si è riempito la bocca della centralità di Internet, ma salvo l’eliminazione della Google tax (passata poi per cosmesi come abolizione di una web tax), non ha speso una parola sulla libertà della rete e sull’accesso universale alla stessa.

Adesso molti invocano l’esclusione di Gentile dal Governo. Giusto. Ma gli stessi importanti opinionisti, salvo alcune rare eccezioni, ormai hanno dimenticato di indignarsi per la perdurante difficoltà dell’informazione italiana stretta tra regime e minacce. E non solo in Calabria.

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