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Festival Sanremo 2014, rivendichiamo il diritto alla frivolezza

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Possiamo anche far finta di nulla, se volete. Ma questo non cancellerà l’evidenza: tra tre giorni comincia il Festival di Sanremo.

Ora, la notizia farà inorridire molti di voi, e ne lascerà indifferenti altrettanti, ma se c’è una cosa che ho tentato di fare su questo blog (quasi sempre fallendo miseramente) è proporre una lettura dell’Italia con le lenti della cultura pop, con inevitabili sconfinamenti trash.

E allora preparatevi: me ne occuperò, e tanto, a partire da lunedì. Magari non ci piacerà, il baraccone rivierasco, ma negare che rappresenti un pezzo considerevole dell’identità nazionalpopolare italiana è sbagliato, oltre che disonesto.

Non c’entra nulla la musica, chiariamolo subito. Le tendenze musicali non hanno nulla a che vedere con quanto ascolteremo sul palco dell’Ariston e aspettarsi grandi canzoni è un inutile e velleitario esercizio snob.

Sanremo è altro, nonostante la dicitura ufficiale reciti “Festival della canzone italiana”. Sanremo è il balletto di polemiche, le gaffe dei conduttori, la narrazione televisiva, i comici, gli isterismi politici, i soldi spesi (spesso male). Ci piace? No, forse no. Ma chi se ne frega.

Dopo 51 settimane di avvilente quadro nazionale, tra politica miserabile ed economica agonizzante, avremo anche il diritto di diventare frivoli e smisuratamente leggeri, no?

No, secondo molti di voi non ci è concesso. Peccato, però, che Sanremo se ne impipi bellamente dell‘indignazione un tanto al chilo che ogni anno esplode a ridosso dell’inizio dell’evento.

Ed è un bene che sia così, signori miei, perché di mancanza di leggerezza si può morire. Lasciateci divertire, per favore. È l’unica settimana d’aria che noi adepti del pop-trash chiediamo a lorsignori. Da domenica 23 febbraio, tranquilli, tornerà tutto grigio e noioso come sempre. Per la gioia di chi è pronto a morire di noia e di pesantezza pur di non farsi contaminare da quella cosa insopportabilmente plebea che è il gusto popolare. Contenti voi…

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