frida2_fioravantiMi sono ripromessa in questo spazio di parlare solo del lato buono della medaglia. Perciò a proposito di Italia, made in Italy e stranieri volutamente non citerò i recenti e tristi casi di svendite e acquisizioni. Non parlerò neanche di quelli “allegri” che raccontano invece ottimisticamente dei nostri folclorismi miniaturizzati, brandizzati e poi esportati all’estero, guarda caso sempre con maggior successo che in patria. Perché mi sembrano ancora più sconfortanti dei primi… e ogni tanto mi aspetto che concludano sostenendo che la pizza più buona ormai si mangia a Willamsburg, o giù di lì.

Ma a parte chi critica (da dentro o fuori) e chi elogia (da fuori, perché la nostra esterofilia evidentemente è così estrema da concederci di vedere il bello dell’Italia solo nelle sue repliche estere…), nel settore del design si stanno registrando anche casi di qualcuno fuori che si prende la briga di guardare positivamente verso di noi. E non per comprarci! Qualcuno probabilmente mosso dal sospetto che da qualche parte ci dev’essere pure qualcosa di ancora buono in Italia, a parte quello che si mangia…

Solo questo mese c’è stata notizia di alcuni casi particolarmente significativi da questo punto di vista e di cui, come sempre, si occuperà di più la stampa estera che quella italiana. Perciò val la pena di citarli. Il primo è finalmente la ricomparsa di due progetti italiani, dopo qualche tempo di assenza, nella mostra che la più importante istituzione londinese, cioè il Design Museum, dedica ai progetti realizzati durante l’anno solare (e che puntualmente di solito viene vinta da un inglese…).

adami_serralungaUno è un vaso prodotto da Serralunga dal designer Massimiliano Adami, speciale soprattutto perché forza un meccanismo di produzione verso i suoi estremi con esiti che rendono ogni pezzo, in realtà prodotto in grande serie, unico e originale come se fosse fatto a mano. Una sperimentazione resa possibile solo grazie alla tradizione locale nello stampaggio della plastica. L’altro è una lampada di un giovanissimo designer per il marchio storico Fontana Arte, rinato nell’ultimo biennio grazie alla coraggiosa e lungimirante direzione artistica di Giorgio Biscaro.

Il 7 febbraio, invece, il designer Odoardo Fioravanti ha vinto con l’azienda Pedrali (senza neppure aver pagato un centesimo di iscrizione, forse senza nemmeno essersi dovuto iscrivere…) il suo German Design Award, un’iniziativa del German Design Council, istituito sessant’anni fa niente meno che dal Parlamento tedesco per riconoscere e premiare i progetti più meritevoli nati dalla fusione delle expertise aziendali con i talenti creativi. Insieme a lui ritirano il premio i giovani bellunesi di Hapter, quasi sconosciuti alle riviste italiane di settore. Di qualche giorno fa, ancora, la notizia che Joseph Grima – nonostante l’accento, il nome e la globtrotterellarità, è architetto e critico residente a Genova – curerà a fine ottobre la Biennale Interieur di Kortrjik in Belgio, una delle più antiche e significative esposizioni legate alla sfera domestica. Un bel carnet di note di merito per quest’inizio d’anno, cui si aggiunge la lunga lista di altri progettisti premiati da Istituti di cultura e riviste straniere (come Giulio Iacchetti che ha vinto a gennaio il Wallpaper design Award con un progetto di Internoitaliano).

LUNAIRE-FontanaArte-01Questa la cronaca più recente. Ma la vera e più significativa attenzione degli stranieri a premiare il design italiano, anche se non fa notizia nella cronaca (né straniera né italiana), è quella silenziosa – ma continua, viva e vegeta – che viene da lontano nel tempo, e rappresenta ancora più di tutto la quotidiana e centrale operosità non replicabile e per ora non delocalizzabile del nostro design. E da qualche parte va raccontata. Il caso, uno per tutti, è quello di un signore con un nome ossimoro che è un programma: si chiama Innocente Rivolta ed è un tipo che raccontano un po’ rude, con sede dalle parti di Giussano. Innocente Rivolta non disegna e non produce, non cura di certo mostre, ma si colloca lì in mezzo a questi saperi, come una specie di ufficio tecnico esterno all’azienda.

Tutti i giorni nel suo laboratorio, come tanti colleghi di quest’area, ospita le sedie di alcuni marchi stranieri storici tra i più rilevanti e ne cura e aggiorna i dettagli prima che vadano in produzione, attraverso strumenti – ossia le simulazioni strutturali (CAE) e di riempimento sui pezzi – che spesso possiedono anche all’estero, ma che non si fidano a usare internamente e affidano a noi. In pratica: aggiusta le magagne dei progetti di grandi nomi e noti marchi, così che tutti noi poi possiamo – inconsapevoli – lodarne la perfezione. E con questa pignoleria mantiene la sua azienda e un dipendente (la figlia). Così, ogni tanto, se vai da lui ti racconta la sua rivincita italiana, appunto, la sua “innocente rivolta”: che ha rifatto il culo a uno straniero.

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