“Sono tantissimi i nostri che dicono: ma perché dobbiamo andare (al governo senza elezioni)? Ma chi ce lo fa fare? Ci sono anch’io tra questi, nel senso che nessuno di noi ha mai chiesto di andare a prendere il governo”. Così il segretario del Pd, Matteo Renzi, in un’intervista esclusiva ad Agorà, che andrà in onda nella puntata di domani su Rai Tre. Un modo per il leader democratico di scrollarsi di dosso un’eventuale responsabilità di crisi di governo. Un esecutivo sempre più debole tanto che il presidente del Consiglio ha già annunciato l’intenzione di salire al Colle forse già domani (10 febbraio) più probabilmente martedì 11 per un colloquio con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

In questo senso il sindaco di Firenze sembra seguire i consigli di Romano Prodi che intervistato dal Mattino oggi sconsigliava Letta e Renzi di prestarsi alla staffetta. E parlava per esperienza: “Quello fu un suicidio politico e spero che stavolta non si ripeta. Allora non fu ucciso solo un disegno di governo ma anche la speranza di un Paese”. Il riferimento è alla staffetta di Palazzo Chigi del 1998 che lo vide protagonista con Massimo D’Alema. L’ex presidente del Consiglio invita Letta a fare “uno scatto”, a “rischiare di più”, perché in questo momento “la mediazione non paga più”. Servono “riforme e decisioni coraggiose – dice – Subito la riforma del voto e quella del Senato”.

Anche Gianni Cuperlo ha escluso la necessità di un cambio della guardia al governo. Serve un “nuovo programma e nuovi ministri per una ripartenza” di un governo che “ha perso autorevolezza e prestigio”, e “se l’attuale presidente del consiglio è nelle condizioni di andare avanti con maggiore coraggio e impegno, sarebbe la soluzione migliore” ha detto l’ex presidente del Pd a In mezz’ora, su Rai Tre. Spazio, dunque, a un Letta bis e no a rimpasti o mini-rimpasti. Per Cuperlo la “ripartenza deve coincidere con un nuovo governo”. Presieduto da Letta? “Per me sarebbe positivo se l’attuale presidente del consiglio fosse in grado di andare avanti con un nuovo impianto programmatico e con maggiore coraggio. Poi sarà il capo dello Stato a valutare con il presidente del consiglio se la ripartenza dovrà avvenire con un nuovo voto di fiducia, un nuovo programma e una nuova squadra, o se è necessaria l’apertura di una vera e propria crisi formale. L’importante è che il Paese abbia un governo più solido”. Ma non chiude le porte a ipotesi alternative: “Se Letta è in grado di essere il protagonista di questa ripartenza bene. Se no il segretario del principale partito che sostiene questo governo faccia una proposta alternativa e noi saremo responsabili”. 

E’ dato quasi per certo, dunque, che l’esecutivo debba passare attraverso vecchi riti. Potrebbe iniziare come rimpastino o rimpasto e poi per una sorta di effetto domino, trasformarsi alla fine del percorso in un Letta-bis, ovvero in un esecutivo nuovo di zecca ma con guidatore collaudato. Al probabile Letta numero 2 si dovrebbe però arrivare con dei passaggi obbligati, non esclusa l’apertura di una crisi formale, che non sempre resta incanalata nei binari immaginati (si sa come si inizia, è sempre stato anche il ragionamento svolto al Colle, ma non si sa come va a finire). Ecco perché, nonostante le pressioni per una “ripartenza” ex novo dell’esecutivo Letta, il rebus governativo resta tutt’ora irrisolto. Con il Colle che instancabilmente invoca continuità per il governo, guardando alle mille emergenze del paese ma anche alle riforme che verrebbero soffocate nella culla. D’altra parte spostare o sostituire alcune pedine governative potrebbe portare ad un improvviso e non programmato smottamento del Governo, e allora la partita diventerebbe molto più complessa e a quel punto, se si esclude la staffetta, non resterebbe che il voto anticipato, con una legge elettorale dimezzata. Uno scenario da incubo anche per il paese e che spiega tutte le cautele e le riserve quirinalizie. Da riempire sono rimaste le caselle dell’Agricoltura (dopo l’addio di Nunzia De Girolamo per l’indagine sulla Asl di Benevento, Letta ha preso l’interim), del vice dell’Economia (lasciato da Stefano Fassina) e anche del vice della Farnesina (l’azzurro Bruno Archi è uscito dal governo dopo lo strappo di Forza Italia). Ma più delle poltrone vuote fanno rumore le polemiche che investono alcuni dicasteri più esposti: tra i nomi presi a bersaglio soprattutto da Forza Italia, quello del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni (blindato però da Mario Draghi oltre che dal Quirinale); vittima del fuoco amico, Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo economico, attaccato dalla renziana Debora Serracchiani (governatrice del Friuli Venezia Giulia) per la vicenda Electrolux. Difficoltà anche per il ministro del Lavoro Enrico Giovannini dopo le riserve e le critiche espresse sul Jobs Act di Renzi. Nuvole nere pure sulla testa delle ministre Cecile Kienge (Integrazione) e Anna Maria Cancellieri (Giustizia). Per contro splende il sole ministeriale sopra il renziano Graziano Delrio che dai bookmaker di palazzo viene indicato agli Interni o, comunque, su un altro ministero “di peso”.

 

 

 

 

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