Cinque minuti in meno. Sarebbero bastati cinque minuti in meno di pellicola e Tutto sua madre sarebbe stato perfetto. E invece no, porca miseria. Guillaume Gallienne trasforma, nel tempo record di 300 secondi, un film ironico, divertente, intelligente e a tratti molto malinconico in un film il cui finale sembra scritto da Povia.

Novantacinque minuti da applausi, sul serio, tra una gag omo-comica e un momento di triste introspezione sulla sessualità, sull’identità di genere, su alcune deleterie dinamiche familiari. Non sembrava nemmeno un film francese, tanto era chiaro e cristallino. E lui, Gallienne, era perfetto. Comico che più comico non si può, istrionico, genialmente bipolare nella sua alternanza tra risate e tristezza. Molti spettatori hanno rivisto se stessi nel personaggio di Guillaume. E chissà quanti altri hanno visto la propria madre nella sua.

Tutto perfetto, dunque? Nemmeno per idea, purtroppo. Gallienne sceglie un finale fantascientifico, trasformando un’ora e mezza di sana e divertente “gaiezza” in una redenzione eterosessuale al confronto della quale persino il Luca di Povia diventa un pivello.

Passi la vita a travestirti da principessa Sissi; ti innamori follemente, buttandoci anche svariati litri di lacrime, del compagno di collegio; speri che il nerboruto massaggiatore tedesco ti sbatta sul lettino come si sbatte un polpo sullo scoglio e poi, alla fine, ti innamori della dolce Amandine, e tutto a un tratto spariscono anche gli sculettamenti, la vocetta, i capelli cotonati alla Franca Leosini.

Uno schiocco di dita e venti anni di dubbi amletici sul proprio orientamento sessuale svaniscono. Puff.

Eh no. Fosse così facile, caro il mio Guillaume. E anche dare la colpa alla pur amatissima madre apprensiva e gelosa è una scelta da psicanalisi da discount, da Freud spiegato ai bambini di sei mesi, da psicologo da salotto televisivo della domenica pomeriggio.

Forse Guillaume Gallienne, che pare racconti la sua vera storia, ha semplicemente preferito la strada più comoda, quella con meno problematiche psicologiche e sociali. Niente di male, per carità: ognuno fa della sua vita ciò che vuole. Ma elevare la propria ipocrita esperienza a paradigma generale che mette in guardia dai rischi del condizionamento sociale e familiare è terribilmente sbagliato.

Tutto sua madre avrebbe potuto aprire uno squarcio inedito sull’omosessualità cinematografica, con un racconto molto intenso e per nulla stereotipato che avrebbe prodotto effetti benefici. E invece no, Guillaume era gay e adesso sta con lei. Sarà contento Povia, sbarcato a sua insaputa sui palcoscenici della Parigi radical chic. Siamo scontenti noi, che abbiamo assaporato per un attimo il trionfo della sincerità cinematografica sul tema omo. Conquista sfumata. Pazienza, ormai siamo abituati. Ci rassegneremo.

Non ci rassegniamo, però, alla triste sfilza di recensioni entusiaste dei siti “specializzati” in tematiche LGBT. O non hanno visto il film e lo hanno incensato sull’onda di un trailer e di una presentazione furba e paracula, o, peggio, non lo hanno capito. E non sarebbe la prima volta, peraltro.

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