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Legge elettorale, chi ha strappato la norma sul conflitto di interessi?

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Subito dopo le ultime elezioni si scatenò un infiammato dibattito sulla interpretazione dell’articolo 10 della legge elettorale del 1957, relativo al tema delle ineleggibilità. Quell’articolo, in modo non equivocabile, prevede il divieto di elezioni per i titolari di pubbliche concessioni e di autorizzazioni. Non si tratta, ovviamente, di una norma contro Berlusconi, perché nel 1957 ancora non si prevedeva la sua ascesa al trono… I legislatori, più che altro, si preoccupavano di rispettare la Costituzione e di impedire una alterazione del gioco elettorale.

Per riuscire ad aggirare una legge chiara e lineare, anni fa, si decise di far finta che il responsabile di Mediaset fosse Confalonieri e non il suo Cavaliere. La risibile tesi, peraltro, è stata ora distrutta dalla sentenza dei tribunali che hanno riaffermato che il dominus è sempre e solo Lui e che, anche durante le presidenze del Consiglio, ha continuato a seguire gli affari suoi.

Tutto ciò premesso, anche nel corso di questa legislatura, arrivati alla interpretazione della norma del 57, i tartufoni di sempre hanno liquidato le critiche e gli appelli sostenendo che: “La norma non è chiara, la cambieremo quando modificheremo la legge”. Qualcuno degli esperti potrebbe ora dirci in quale punto della cosiddetta riforma elettorale sia stato inserito il passaggio sulle ineleggibilità?
Già che ci siamo ci potrebbero indicare il capitolo relativo alle incandidabilità, al conflitto di interesse, ai tetti di spesa, alle modalità dei controlli, al regime delle sanzioni?

Il tema, ovviamente, non sta a cuore né a quelli delle “profonde sintonie”, né agli oppositori interni di Renzi che, salvo alcune eccezioni, non hanno mai speso una parola su questi temi. Prima delle prossime elezioni europee saranno i Berlusconi, intesi come Silvio e Marina, a “riesumare” un conflitto di interessi che, peraltro, non è mai stato sepolto.

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