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Telecom Italia ora è spazzatura anche per Standard & Poor’s

La svendita dell'Argentina per 700 milioni di euro e il discusso convertendo da 1,3 miliardi non bastano a risollevare il gruppo italiano. Anzi
Telecom Italia ora è spazzatura anche per Standard & Poor’s
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Telecom Italia è spazzatura anche per Standard & Poor’s: il varo del piano industriale con il collocamento in tempi record del convertendo da 1,3 miliardi e l’uscita dall’Argentina per 960 milioni di dollari (poco più di 700 milioni di euro) sancita mercoledì notte in modo non meno rapido, non ha infatti evitato il declassamento del rating del gruppo a livello “junk” ovvero spazzatura. “Decisione ampiamente attesa e già scontata dai mercati”, ha commentato a caldo l’amministratore delegato Marco Patuano. Secondo il quale il gruppo che nei fatti ha dimostrato le sue difficoltà nel reperimento di risorse sul mercato, con la cessione della quota in Telecom Argentina si è già dotato “in pochissimi giorni di metà delle risorse previste dal piano per il rafforzamento patrimoniale”. A che prezzo, lo si vedrà in futuro, ma il verdetto di S&P è inequivocabile.

E si aggiunge a quello di Moody’s, la quale un mese fa ha abbassato il giudizio sul merito di credito di Telecom sotto l’investment grade senza aspettare il piano di Patuano. Il voto di S&P è sceso da BBB- a BB+ con la prospettiva di un ulteriore taglio se la società non riuscirà a risollevare il margine operativo lordo in Italia e ad accelerare sul fronte della riduzione del debito. I due elementi sono alla base del taglio deciso giovedì 14 insieme alla persistenze incertezza della governance che fa sorgere dubbi “sulla correttezza del management e della stessa governance”, ha spiegato l’agenzia puntando il dito contro il gruppo guidato da Cesar Alierta: “E’ difficile prevedere quale impatto strategico possa avere la quota indiretta, potenzialmente di controllo, della spagnola Telefonica”.

Interrogativi che del resto erano stati sollevati perfino dalla Consob. La vigilanza nei giorni scorsi ha acceso un faro, al pari della Procura di Roma, sugli accordi per il passaggio delle azioni in Telco (la holding delle banche che detiene il 22,4% di Telecom) dai soci italiani agli spagnoli, per verificare se non siano stati fatti a vantaggio di Telefonica. Stessa linea sul convertendo da 1,3 miliardi emesso la scorsa settimana e la vendita della quota in Telecom Argentina, ceduta a Fintech di David Martinez per 960 milioni di dollari. Il finanziere messicano pagherà 859,5 milioni per il 68% della holding di controllo Sofora (il 32% resta ai Werthein) e altre quote dirette, più 100,5 milioni “a fronte di ulteriori pattuizioni correlate all’operazione, tra le quali la messa a disposizione delle società argentine di servizi tecnici di supporto”.

Sulla parole di Alierta, che in un’intervista al Sole 24 Ore ha negato di voler esercitare l’opzione per salire, da gennaio, al 100% di Telco, e ha indicato piuttosto di voler rimanere al 15% sino al 2015, si sono intanto concentrare le reazioni politiche. Il viceministro allo Sviluppo economico, Antonio Catricalà, ha detto di voler vedere i fatti osservando peraltro che la dichiarazione del presidente di Telefonica “fa scendere l’attenzione sulla questione della riforma della legge sull’Opa perché farebbe pensare che Telefonica non incapperebbe neppure nella soglia prevista dall’emendamento Mucchetti”, fissata al 15 per cento. “Non c’è da fidarsi” invece di Alierta per il presidente della commissione Industria del Senato, Massimo Mucchetti, secondo il quale la soglia “potrebbe salire al 17% o scendere al 12%”. Di un interesse da parte delle casse previdenziali ha infine parlato Vito Gamberale, ad del fondo F2i sponsorizzato dalla Cassa Depositi e Prestiti: “In Italia ci sono capitali istituzionali pronti, e lo so perchè c’ho parlato, che sono interessati a Telecom Italia”.

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