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‘Miss Violence’, un gioco di specchi tra Grecia e Italia

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Amarissime considerazioni dopo lo sconvolgente film “Miss Violence in cui, attraverso la storia di una famiglia disastrata, si propone l’evidente metafora dell’attuale situazione politico-sociale greca. In Italia le cose non vanno molto meglio, con l’aggravante di una presenza ingombrante come Berlusconi e di una struttura industriale di primissimo ordine che si sta smantellando. Tutto è fermo, nella totale assenza di una qualsiasi politica economica, da oltre vent’anni.

Col passaggio all’euro senza alcun controllo della crescita dei prezzi, abbiamo assistito a un colossale travaso di ricchezza dalle fasce più deboli a quelle più ricche della popolazione. Ovvia conseguenza, il calo dei consumi alla lunga è andato a danneggiare l’intera economia, colpendo la domanda e la produzione e accentuando i già gravissimi problemi di bilancio. Le misure di austerità, non accompagnate da alcuna riforma strutturale, hanno peggiorato la situazione, inducendo a una chiusura a difesa delle posizioni acquisite e tarpando ogni prospettiva di ripresa. Si è avviato un processo di svendita di tutte le cose più belle che abbiamo (le bambine prostituite per pochi euro del film). A partire dalla Costituzione, generata in uno dei rari momenti positivi della nostra storia recente, che i partiti maggiori stanno viol(ent)ando con la deroga dell’art.138, norma sulla produzione, regola delle regole. Stanno stuprando i nostri beni più preziosi: le bellezze naturali, artistiche e paesaggistiche, le montagne, i centri antichi, le architetture, le coste. Hanno svilito gioielli dell’economia come Parmalat e Monte dei Paschi; affossano la telefonia, i trasporti ferroviari e aerei, la televisione pubblica; i migliori marchi del made in Italy vanno all’estero.

Assistiamo inermi allo smantellamento dello stato sociale, comprese le eccellenze di cui, nonostante le inefficienze, si poteva andar fieri. Scuola, ricerca universitaria, sanità, forze dell’ordine e intero sistema della giustizia sono alla canna del gas. Nel privato, quanto nel pubblico, è la fine del lavoro: neanche secondo le più rosee e edulcorate stime governative si riesce a prevedere un miglioramento dell’occupazione. Senza lavoro, si perde la dignità. Nel film, come nella realtà, una serie di scelte improvvide talmente delirante da apparire incredibile ci porta al fondo del barile, a raschiare e scavare non si sa fino a quando. Il film va avanti malissimo – con una terribile serie di suicidi, incesti, violenze, prostituzione minorile, omicidi – e chiude peggio: la tradizione reazionaria, impersonata dalla vecchia che assiste a tutto senza battere ciglio, fa giustamente strame del padre-padrone (il governo) ma soltanto per sostituirsi a lui, mantenendo l’atrocità dei rapporti e chiudendosi dentro a chiave. Alba poco dorata.

Se ne esce sconvolti, sentendoci tutti conniventi con chi procura tali scempi, a cominciare da chi guarda il “film” consapevolmente. E il pensiero più atroce è del male che stiamo procurando alle giovani generazioni, cui si tarpano le ali e si chiude ogni prospettiva futura. Solo da loro ci si potrebbe aspettare un sussulto di ribellione. Ma è ben difficile che possa alzare la testa chi ha vissuto tutti i suoi pochi anni sotto la cappa di un mondo finto, con una politica bloccata che a sua volta ha bloccato tutto, dalla televisione che ne è diretta emanazione, al cinema (ahimè), a tutto il resto, con un accuratissimo occultamento e travisamento dei dati della realtà. Una classe dirigente, politica e imprenditoriale, corrotta, incompetente, disonesta, lascia mano libera ai violenti, ai prepotenti, a chi si beffa della legge. A noi onesti, nella grande maggioranza, resta il sonno delle coscienze. Maschietti e femminucce di tutte le età stanno davanti alla televisione, chi a vedere partite di calcio, chi a seguire pettegolezzi da mentecatti. Nella migliore delle ipotesi, potremmo rifugiarci in un ripiegamento nel privato. Ma la responsabilità che abbiamo verso i figli ci porta a cercare disperatamente di fare qualcosa, ognuno per quel che può, per trovare una via d’uscita dalla crisi o almeno una via di fuga verso l’estero.

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