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I semaforisti sedevano al centro del parco

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I semaforisti sedevano al centro del parco, sotto una magnolia secolare, mangiavano con le mani da una casseruola untuosa che aveva confezionato per loro la signora Crystina di Zawadow. La signora Crystina aveva sposato un italiano, l’operaio di fabbrica vedovo due volte. E certuni del parco, certe vecchie usate alla vita, lo chiamavano il cornuto, il cornuto di italiano che venuto fare ammore con polacche. Erano le badanti le più avvezze a tirar fuori le vere miserie dell’uomo, in special modo l’indigeno che veniva al parco il giovedì e la domenica sicuro di trovarne senz’altro qualcuna disposta a farsi un giro, per una birra o una scheda telefonica. L’indigeno era talmente buzzurro da covarne tutte le certezze, trattava le polacche come se fossero contadine sprovvedute, e alla fine ne sposò una di Zawadow.

Veniva al parco senza il cornuto di italiano, con le sue zuppe, lo zurek o il barszcz czerwony. I semaforisti erano giovani provenienti da paesi di campagna, paesi cimitero che la democrazia – sopraggiunta troppo presto – aveva svuotato lugubremente. E c’erano fabbriche grigie stentoree come lapidi, come la fabbrica di Lodz. Erano gli anni ’90, Siracusa non conosceva i polacchi, la bellezza lontana provata dal lutto di una nazione intera, evitava perlopiù i barboni al semaforo, non riconoscendo in loro alcuno stigma.

I semaforisti bevevano terribilmente. Un pomeriggio, mentre un tale Mietek si contorceva schiumando nella solita crisi di epilessia, e l’amico tentava di calmarlo ficcandogli l’accendino tra il palato e la lingua, Wojciech e quello che chiamavano Jaruzelski avevano ingaggiato una rissa usando bastoni e spranghe pescate chissà dove. Jaruzelski riemerse che era una maschera di sangue, pestato senza pietà, inciampando, tentava di uscire dall’erebo che era il parco, supplicava o blaterava in una lingua sconosciuta, i passanti erano atterriti, Jaruzelski era un golem, il più spaventoso essere sbucato dalla fogna che chiamavano giardini. Nel volto rugoso di Wojciech, come scriverebbe Marek Hlasko, si dipinse il dubbio, ché forse Jaruzelski era buono? Il figlio della malora era buono? Diceva un personaggio di Hlasko “non c’è disgrazia che spieghi la vodka, non c’è fortuna che la valga”.




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