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Social network e sofferenza: l’irresistibile leggerezza del web

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Credo che sia azzardato da parte nostra, come operatori della sofferenza, affermare che ci sia un modo più giusto di un altro di affrontare o svelare un dolore.  Ho potuto verificare nel tempo, che ognuno ha un suo modo per farlo, di qualunque natura esso sia.

Prendo spunto dalla discussione con alcuni colleghi che esprimevano le loro perplessità sulle scelte di alcune persone, in particolare alcune donne, di raccontare sui social network le violenze subite, ho letto la stessa perplessità su alcuni articoli. Riconosciamo che il racconto e la ricostruzione dei fatti traumatici, e quindi anche delle vicende di violenza, facciano parte del processo di recupero e presa di distanza dall’esperienza vissuta. Così questa può essere riportata in una trama narrativa personale e non rimanere una parte di sé isolata, da relegare sullo sfondo e dimenticare.

Le strade da intraprendere per arrivare a farlo probabilmente sono infinite e non tutte passano per i percorsi consigliati dagli esperti. Corriamo il rischio di non accogliere, di sembrare rifiutanti o giudicanti.

Credo che quello che noi specialisti della sofferenza dobbiamo fare è sostenere qualsiasi tipo di outing le persone si sentano di fare, eventualmente anche soccorrerle se necessario e richiesto.

Voglio difendere il web perché credo, per lo meno la mia esperienza mi dice, che giochi un ruolo siano importanti per le persone in generale, soprattutto per le persone che hanno un problema, e per qualche motivo non si sentono ancora di condividerlo e metterlo in gioco nel mondo reale. In più occasioni mi è capitato di osservare come l’accesso al mondo virtuale abbia funzionato come fase di transizione tra la spinta alla chiusura e all’isolamento, fisiologici dopo una ferita, e il bisogno di partecipazione e di relazione. Con tutti i suoi difetti e limiti, il mondo virtuale può offrire alle persone un sufficiente senso di appartenenza, di accettazione, e conferma necessarie per  farle partire o ripartire.

E’ vero che a volte le persone rischiano di sovraesporsi: contando sulla distanza che offre il mezzo, si va oltre ciò che si sopporterebbe nel reale.

E’ vero sul web molte cose che si vedono non esistono o sono diverse da come appaiono. Ma è proprio la non autenticità che rende spesso il virtuale un mondo possibile, irresistibile e reversibile per l’esposizione personale. Ci si espone o ci si scaglia contro qualcuno rimanendo nell’anonimato o uscendo allo scoperto, avendo ogni volta l’illusione di poter scegliere se andare avanti o tornare indietro a proprio piacimento.

E per una persona incerta questo può essere importante.

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