Sì alla diplomazia. Ma l’opzione militare resta in campo, fondamentale quando si tratta di “crimini contro l’umanità”. E’ il senso del discorso di Barack Obama sulla Siria, quindici minuti trasmessi in diretta televisiva dalla Casa Bianca per convincere gli americani della necessità di agire contro Damasco. Con un tono asciutto, senza mai alzare la voce, Obama ha usato immagini particolarmente crude per svelare i crimini di Assad e ha detto che “gli Stati Uniti non possono far finta di niente di fronte all’uccisione di bambini con i gas”. Oltre le parole, c’è già un primo, concreto effetto di questo approccio: Obama ha detto di aver chiesto al Congresso di rimandare il voto sull’intervento in Siria e aspettare l’esito delle trattative all’Onu.  

Il discorso di Obama all’America. Erano due anni che il presidente non approfittava della prima serata televisiva per parlare agli americani. Del resto, storicamente, i discorsi dei presidenti alla Nazione non hanno mai cambiato di molto gli orientamenti dell’opinione pubblica – Richard Nixon, nel novembre 1969, non riuscì a rendere più accettabile agli americani l’idea della guerra in Vietnam – e negli ultimi anni sono stati seguiti da un pubblico sempre più esiguo. Soltanto 33 milioni di persone si sono sintonizzati sul Discorso sullo Stato dell’Unione del 2013.

Obama aveva però, in questa occasione, assoluto bisogno di rivolgersi agli americani e chiarire una strategia, quella sulla Siria, che negli ultimi giorni ha subito molti ondeggiamenti. Il presidente ha anzitutto puntigliosamente ricordato, con dettagli forti, cos’è avvenuto il 21 agosto scorso in Siria, “una notte terribile, in cui sono stati compiuti crimini contro l’umanità… in cui si sono visti bambini morti e uomini e donne con la bava alla bocca”. Pur ammettendo che “dopo l’Iraq e l’Afghanistan il Paese è stanco di guerre”, Obama ha detto che gli Stati Uniti non possono fare finta di niente “perché noi siamo l’America e dobbiamo agire”. Con accenti che hanno richiamato la vecchia ideologia dell’eccezionalismo americano, Obama ha spiegato “che in gioco ci sono i nostri ideali e la nostra sicurezza nazionale… Non siamo i poliziotti del mondo, ma quando possiamo evitare che dei bambini vengano gassati, dobbiamo farlo”.

Il presidente ha ricordato che l’intervento cui lui pensa, in Siria, non ha nulla a che vedere con le guerre in Iraq e in Afghanistan, ma nemmeno con prolungati raid aerei sull’esempio della Libia. “Il nostro intervento sarà limitato e mirato a scoraggiare l’uso di armi chimiche”, volto dunque a distruggere parte dell’arsenale militare di Assad, spesso definito “un dittatore”, dissuadendo il suo governo dall’uso futuro delle armi chimiche. Il ruolo di deterrenza è stato più volte richiamato da Obama, secondo cui, se non agiamo, “altri dittatori nel futuro potranno liberamente ricorrere ai gas contro le loro popolazioni”.

Dopo aver riepilogato tutte le ragioni che rendono necessario un attacco contro Assad, Obama si è però interrotto e ha lasciato spazio all’opzione diplomatica. “E’ troppo presto per dire quanto la proposta russa avrà successo, ma potrebbe consentire di togliere di mezzo le armi chimiche senza un intervento militare”, ha spiegato. Nel frattempo, comunque, Obama ha spiegato di aver ordinato all’esercito di mantenere la pressione militare, nel caso la diplomazia fallisca”. Nessun accenno, da parte del presidente, a quanto tempo è disposto a offrire alla diplomazia, prima di tornare all’uso della forza.  

La giornata della diplomazia. Il discorso di Obama è arrivato al termine di una giornata di intense trattative alle Nazioni Unite. Sicuramente la proposta di mediazione russa sulla messa sotto tutela delle armi siriane ha avuto l’effetto di rimettere in moto la diplomazia e costringere Stati Uniti e Francia a rivedere la loro strategia. Mosca ha ottenuto subito il sì della Siria – “Siamo pronti ad annunciare dove si trovano le armi chimiche, a cessarne la produzione e a mostrarne le strutture ai rappresentanti della Russia, di altri Paesi e delle Nazioni Unite” ha annunciato il ministro degli esteri siriano Muallem – ma anche gli americani, attraverso il segretario di stato John Kerry, hanno dovuto riconoscere che la mediazione russa è “ideale” per evitare il ricorso alle armi.

Da subito gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali hanno però paventato il rischio che l’azione russa sia in realtà una tattica dilatoria, che mira a salvare Assad dall’azione armata. Proprio per non subire l’iniziativa del Cremlino, i rappresentanti di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna si sono riuniti al Palazzo di Vetro e hanno messo a punto un’altra bozza di risoluzione, che fissa paletti temporali ben precisi entro i quali il regime di Assad dovrà agire per mettere il proprio arsenale chimico a disposizione della comunità internazionale. Il testo prevede anche l’adesione della Siria alla Convenzione internazionale che vieta l’uso di armi chimiche, il ricorso alla Corte Penale contro i responsabili dell’attacco del 21 agosto e l’uso della forza contro chi viola i dettami della risoluzione.

Lo scontro russo-statunitense. Proprio quest’ultimo punto, che in pratica lascia aperta la possibilità di un attacco armato contro Damasco, ha irritato la diplomazia russa (il ministro degli esteri Lavrov l’ha definito “inaccettabile”) e ha condotto all’annullamento di una riunione del Consiglio di Sicurezza chiesta proprio dalla Russia. Il fatto è che gli americani, nonostante le aperture di facciata, non si fidano. “Aspettiamo di vedere la proposta, ma non siamo disposti ad aspettare a lungo”, ha ribadito al Congresso John Kerry, mentre il capo del Pentagono, Chuck Hagel, ha spiegato che “l’unica soluzione è privare Assad dei gas letali”. Fonti dell’amministrazione hanno anche spiegato che l’idea di un ultimatum alla Siria, per consegnare le sue armi chimiche, era stata presa in considerazione da Obama e dai suoi nei giorni scorsi, ma era stata abbandonata perché difficilmente realizzabile. In che modo far uscire le armi dalla Siria? E come essere sicuri che Assad consegni davvero tutto il suo arsenale? Possibile che, nelle prossime ore, si assista a un muro contro muro russo-americano sul linguaggio della possibile risoluzione e sul tipo di obblighi cui sottoporre Assad. Kerry ha comunque spiegato che da Mosca arriveranno nelle prossime ore i dettagli del piano per mettere sotto controllo le armi di Assad. E il capo della diplomazia Usa dovrebbe incontrare il suo collega russo giovedì a Ginevra.

Il Congresso abbandona Obama. Oltre a rimettere in moto la diplomazia, riportando al centro della discussione il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la proposta russa ha avuto anche un altro effetto: quello di modificare le dinamiche politiche al Congresso Usa. Da giorni, almeno da sabato, quando è diventato chiaro che Obama non avrebbe ottenuto il via libera del Congresso, alcuni senatori hanno cominciato a lavorare a una diversa possibilità. L’iniziativa è partita da due repubblicani, John McCain e Lindsay Graham, che hanno coinvolto nel loro progetto due democratici, Carl Levin e Charles Schumer, cui si sono aggiunti nelle ore successive altri quattro senatori. Il calcolo degli otto è stato sostanzialmente questo. Obama non otterrà mai il via libera del Congresso – dati diffusi nelle ultime ore rivelavano che 251 deputati e 38 senatori voterebbero no all’intervento. Per evitare un’umiliante sconfessione del presidente da parte del Congresso, i senatori hanno messo a punto una bozza di risoluzione che dà il via libera all’intervento militare, ma lo sospende nel caso la Siria metta le sue armi chimiche sotto il controllo dell’Onu. Non si sa se il piano dei senatori verrà abbandonato, dopo che anche Obama ha lasciato aperta la strada della diplomazia. Ma la loro iniziativa rivela quanto tormentato politicamente sia stato il caso siriano. E quanto Obama sia stato abbandonato da gran parte del mondo politico di Washington.

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