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Malattie psichiche: la cattiveria dello stigma

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Ci sono persone il cui percorso di vita entra in un certo momento, in un labirinto pauroso nel quale rimane per molto tempo. E la loro mente rimane intrappolata in una realtà grigia dove la malinconia e la tristezza e altri stati emotivi, alterano la natura primitiva. Così il carattere ereditario si scontra con un ambiente ostile che tende ad aggredire la persona dal punto di vista psichico e ad ostacolarne la vita.

E’ un rafforzamento negativo di quel processo di selezione naturale della specie ideato da Charles Darwin, visto qui in chiave psicologica. La malattia psichica è una condizione di rottura con l’esperienza vissuta prima, ed è diffusissima in tutte le sue varianti (schizofrenia, disturbo bipolare, depressione, ecc.) nella popolazione mondiale. A differenza delle malattie fisiche, quella psichiatrica è ancora vista come innaturale e come motivo di scandalo non tanto verso il comportamento in sè di chi è colpito, ma er quanto riguarda la relazione con essi.

Si temono le reazioni, i pensieri e le intenzioni che sono state propagandate da un immaginario collettivo, che colloca il paziente psichiatrico in un non luogo o meglio, in un luogo di mezzo fra la diversità e l’alienazione. Una parola che può definirli è: anormali. Non importa il grado di recupero individuale e per questo motivo la riabilitazione, se pur totale, di alcuni individui, viene considerata con sospetto.

Lo stigma non è altro che l’allontanamento di certe persone che perdono valore sociale in tutti i settori competitivi dove l’uomo sano è privilegiato. Le categorie protette, ossia i portatori di handicap fisici e mentali, hanno una priorità soprattutto teorica ma, nella pratica, trovano un muro di diffidenza e ipocrisia, e lo Stato non dà abbastanza importanza alla loro mobilità lavoratva, sociale e creativa. E così nonostante una facciata di integrazione nel mondo normale, e nonostante un profitto ed un merito veramente validi, si innalza dietro di loro lo spettro del fallimento. Non solo quello interiore, ma soprattutto quello additato dagli altri verso di loro.

E così l’utilità percepita dal malato viene manipolata da un teatrino di ipocrisia sociale che la considera di secondo livello o meglio ancora, una sorta di stravaganza o stranezza. E se pur emerge un talento da un animo provato dall’esperienza di malattia mentale, lo sforzo per renderlo autonomo e fonte di gratificazione personale, deve superare le gravissime prove dello stigma che diviene un soffocamento delle risorse psichiche riemerse e una vera e propria seconda malattia.

Roberto Calò

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