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Calabria, premio Gioacchino: l’ipocrisia del potere immorale

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Domani in Calabria si terrà il premio Calabria-Sila-Gioacchino da Fiore. L’iniziativa a San Giovanni in Fiore (Cosenza), capoluogo italiano del paradosso: 18 mila abitanti, 1200 i forestali, socialmente utili e affini, 6 mila pensioni e altrettanti disoccupati. Questi numeri raccontano di una regione alla deriva, di una politica che sfrutta il bisogno e specula sull’emigrazione, di una società divisa tra pezzenti e papponi, schiavi e caporali, sognatori e opportunisti.

L’evento sarà l’ennesima Passione e Morte della mia terra, in cui a Giuda e farisei si riconoscono meriti nel sapere, nell’impresa e nella legalità?

A San Giovanni in Fiore taglierà il nastro il governatore Giuseppe Scopelliti, l’artefice della Risurrezione calabrese: efficienza sanitaria, eccellenza ospedaliera, salvaguardia dei beni culturali tipo gli scavi archeologici di Sibari (Cosenza), uso perfetto dei finanziamenti europei del Fesr, revisione della spesa a partire dall’indennità dei consiglieri regionali, sconfitta della ‘ndrangheta grazie all’antimafia bella e coerente, ricupero dei trasporti, risoluzione del dramma di 5000 precari nelle amministrazioni pubbliche, cioè Lsu ed Lpu, e bonifica dei siti industriali inquinati. Per esempio Italcementi di Vibo Valentia.

L’elenco dei miracoli di Scopelliti sarebbe interminabile. Bisognerebbe aggiungere dell’affidamento di servizi per i nuovi ospedali a Infrastrutture Calabre, società con sede nella provincia lombarda, dove la dirigenza segue un master sul modello Formigoni.

Gioacchino da Fiore, cui è in parte intitolato il suddetto premio, era un teologo della storia, un visionario potente, severo e incorruttibile. Immaginava la giustizia in questo mondo, non nell’Aldilà. A lui s’ispirarono Dante Alighieri nel progetto politico-spirituale della Divina Commedia, Cristoforo Colombo nella ricerca dell’America, gli autori dei dipinti della Cappella Sistina, i francescani evangelizzatori del Messico, i socialisti utopisti e il Martin Heidegger di Essere e Tempo.

Ci vuole molto coraggio a passare da questi personaggi a Scopelliti e al suo codazzo. Ma la globalizzazione è anche questo: cancellazione della memoria, strumentalizzazione, apparenza pacchiana, miseria della cultura e della politica.

Pochi scrivono dell’uso distorto della cultura in Calabria, in cui le parate sulla legalità hanno portato certi soggetti nelle grazie e nelle sfere del potere, sino a ieri contestato a gran voce.

Provo una grande sofferenza nel vedere simili abusi, nel sapere che il nome di Gioacchino da Fiore, che avrebbe fatto saltare i governi regionali per la dilagante immoralità, viene utilizzato per legittimare il sistema calabrese del silenzio. Quel silenzio complice e vigliacco che ho visto a proposito del dramma dell’imprenditore calabrese Antonino De Masi, vittima di usura bancaria e intimidazioni mafiose; quel silenzio che prosegue, tutte le volte che il potere ordina, impone, distrugge, aumenta l’emigrazione.

Provo stupore nel sapere che codesto premio lo abbia promosso anche François Nicoletti, emigrato che ha sempre combattuto le logiche qui descritte. E provo una rabbia immensa nell’assistere all’ennesima trovata ipocrita alla calabrese. Di Gioacchino e della sua Abbazia florense il potere se n’è fottuto, al punto da permettere che tra le mura dell’edificio vi fosse una casa di riposo privata. E ora crede di rimediare col gala, inutile, fuori del tempo.

 

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