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Monsters & Co. All’esame da mostro sono tutti bocciati

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C’era una volta la gloriosa Pixar, sinonimo stesso di animazione, quella che rimane nella storia del cinema. Appunto, c’era una volta: Cars 2, Brave e ora Monsters University, le ultime tre uscite della società di Emeryville lasciano l’“amaro negli occhi”, un segno indelebilmente negativo, la sensazione che il meglio sia alle spalle. Che ne è della creatività passata, che ne è della capacità demiurgica di mettere d’accordo grandi e piccini, sfornando storie e personaggi geniali, risate e sottotesti, citazioni ed eccitazioni? Missing in action, e se l’inventiva langue, meglio tornare indietro, portando a chi nemmeno era nato Mike, Sulley e gli adorabili mostriciattoli del capolavoro Monsters & Co., che arrivò nelle nostre sale il 15 marzo 2002. Altri tempi, altre storie, altre animazioni: 11 anni sono passati, e il panorama mondiale dei cartoons è radicalmente cambiato. Pixar non ha più il monopolio qualitativo e quantitativo, DreamWorks, Illumination Entertainment, Aardman e compagnia disegnata lavorano ai fianchi, il gap s’è ridotto ai minimi termini, il piedistallo rimasto libero per il miglior offerente. Qui, spiace dirlo, c’è l’ennesima riprova: il confronto con l’antesignano non regge, Sulley e Mike sono anagraficamente ringiovaniti, ma poeticamente ed emotivamente vale il contrario, la copertina è corta, lo sbadiglio in agguato. “Volevamo esplorare l’amicizia e la relazione tra Mike e Sulley, e ci siamo detti: perché non tornare indietro?”, ha detto il regista Dan Scanlon, e tanto basti perché Monsters University venisse alla luce. Back in the days, ritroviamo il piccolo ciclope verde Mike Wazowski e il gigante peloso James P. Sullivan, detto Sulley, matricole alla Monsters University con l’obiettivo di diventare Mostri Spaventatori. Il primo è un secchione, sgobba tanto, ma la natura non è stata generosa: microbico, se non lillipuziano, teneramente indomito, a chi potrà mai fare paura?

Il secondo non solo è figlio d’arte, ma addirittura superdotato, mastodontico, fenomenale. Non si applica, i libri non fanno per lui, ma un solo ruggito incute terrore. Eppure, condivideranno le stesse sorti poco magnifiche: ne fanno una di troppo all’orrido Rettore Tritamarmo, e vengono sbattuti fuori dal corso. L’unico modo per provarsi Spaventatori laureati è unirsi alla scalcagnata, male assortita e perdente confraternita di Ohimè Kappa e provare a dimostrarsi i migliori dell’Università: ce la faranno? Chissà, ma tutt’intorno difficoltà e debolezze danno nell’occhio: ritmo e trovate non sempre all’altezza, gli sparring partner di Mike e Sulley abbastanza evanescenti, se fare ex novo è difficile, rimestare con carta, matita e CGI in una minestra riscaldata può risultare insipido, se non indigesto. Come per altre animazioni in sala (Turbo della rivale DreamWorks), il sospetto è che l’urgenza creativa abbia lasciato il passo alle impellenze del merchandising: il biglietto ha ancora la sua parte, ma pupazzetti, tazze, giochi e libri hanno certamente catalizzato questo sequel. Sostiene Monsters Univesity, talento (Sulley) e impegno (Mike) devono fare coppia per riuscire, ma qualcuno alla Pixar deve esserselo dimenticato, oppure si deve guardare a monte, alla casa madre Disney: dopo alcuni flop clamorosi, da John Carter al recente The Lone Ranger, i conti sono in rosso, e se non fosse per il canale sportivo ESPN e i vari parchi tematici si piangerebbe miseria. Dunque, ritorno al futuro: Mike e Sulley a scuola di spaventi e urla, perché Topolino non ci rimanga secco. “I found a nickel! Sure wish I had pockets”: il piccolo Mike no, ma le tasche la Disney le ha, eccome. E così questa University finisce per rivelare una sola facoltà: Economia e Commercio.

Il Fatto Quotidiano, 22 agosto 2013

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