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Guns N’ Roses, l’illusione dell’album perfetto

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Poggiando le dita tenendo l’ultimo accordo di “Estranged“, Axl Rose deve aver realizzato che da quel momento in poi mandare avanti la baracca dei Guns N’ Roses sarebbe diventata una sfida impossibile: specie per uno come lui, cui semplicità e linearità son sempre scappate a gambe levate.

Impadronitosi del nome e del marchio della band con un artificio che gli ex membri raccontano come un ricatto messo in scena prima di salire on stage e chiusa l’estenuante parentesi (2 anni) dello Use Your Illusion Tour, il buon William Bailey cominciò a porsi l’obiettivo che poche band prima di lui avevano centrato: l’album perfetto che era riuscito agli Who con “Tommy” o ai Pink Floyd con “The Dark Side Of  The Moon” e che, per una band di fine anni ’90 pareva impossibile anche solo immaginare. Non certo per lui, che negli eccessi e nella sofferenza ha incarnato l’ultima vera rockstar che la musica abbia conosciuto: scappato di casa adolescente e picchiato e abusato dal patrigno già in tenera età.

Così, noncurante delle conseguenze, cominciò a chiudersi nella sua villa di Malibu salvo ricomparire in studio giusto in tempo per scartare le idee degli altri Slash, Duff e Gilby: perché Axl Rose non voleva sfornare il classico disco hard-rock, che a far quello “c’avrebbe messo 5 minuti”, no lui voleva proprio scalare la montagna del sound e consegnare al mondo l’opera definitiva dei “suoi” Guns N’ Roses.

Mentre i giorni trascorsi dall’ultimo – album di cover – “The Spaghetti Incident?” già non si contavano più e alla torretta di guardia era rimasto di turno il solo Slash, Rose comprese che doveva anzitutto creare una nuova line-up da zero: a torto o ragione.

Giunge così dopo vari tentativi alla formazione che – con qualche ritocco nel tempo – comincerà a lavorare al famigerato “Chinese Democracy” già a partire dal 1998: arrivando ad avere materiale per tre dischi.

Sul palco del Rock In Rio del 2001, che ne dovrebbe celebrare il ritorno sulle scene, appare instancabile quanto logorato dal tempo: il video di introduzione al concerto lascia presagire forse una lunga malattia, ben incarnata dai lineamenti del suo viso, lontani anni luce dagli anni d’oro.

Decide allora di riportare la band in tour per i successivi anni, finché nel 2004 la Geffen non decide di aver già speso troppo per il nuovo album (13 milioni di dollari) e fa uscire contro la sua volontà un Greatest Hits posticcio che pure venderà tantissimo.

E’ l’inizio di una guerra che lo avvicinerà a grandi passi a quel 23 Novembre 2008 in cui sugli scaffali di tutto il mondo, dopo anni di leak, vociferazioni e smentite, “Chinese Democracy” troverà finalmente posto. Un album paradossalmente incompleto, la cui title-track fa quasi tornare indietro ai tempi di “Appetite For Destruction”, per poi accarezzare le tonalità nu-metal di “Shackler’s Revenge” e l’ammiccamento pesante di “Better”, che meglio di altre racconta la migliore sintesi tra i Guns N’ Roses del passato e quelli del presente.

Un viaggio sonoro lunghissimo che aldilà di qualche scivolone inspiegabile – “If The World” – ci consegna gemme quali la ballad “Street Of Dreams”, l’introspettiva “There Was A Time” o la dolcissima “Catcher In The Rye” e “This I Love You”: ultima parte della fortunata trilogia già intrapresa con “November Rain” ed “Estranged”, neanche a farlo apposta. Chiude la pretenziosa “Prostitute”, il cui finale vale da solo i 20 euro spesi.

“Chinese Democracy” non è il capolavoro annunciato ma ha il merito di consegnarci un artista genuino, che chiude definitivamente con gli anni ’90 senza alcuna certezza per il futuro ma con qualche soddisfazione prontamente riposta in tasca: “It Shows You How Brilliant Axl Is” dice Slash. Che lo crediate o no, un disco da ascoltare. 

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