Vorrei spiegarmi, anche se la tentazione a chiedervi “perché non mi capite?” è molto più forte. Più che i lettori, la mia presunzione vorrebbe interrogare certa editoria, ma non ho il numero di copie giuste a mio supporto (avessi superato le quattromila, forse, non saprei), non sono nessuno per supplicare certa editoria di tornare alla letteratura.

Cosa temete? Pensate davvero che i libroidi vi salveranno dalla cartastraccia? Allora vendeteli in salumeria, vi prego (interrogo sempre certa editoria, tenete a mente), oppure nel reparto hi fi, oppure tornate alla letteratura. Cosa sia per me la letteratura è anche un po’ il senso che cerco nei post pubblicati in questo blog.

Nel qual caso sono esercizi di stile (non massacratemi, please): raccontare la vita nella sua ordinarietà attraverso una metacronaca.

Un lettore di recente ha praticamente intercettato quel che definisco la mia soluzione segreta. Niente di più straordinario in effetti dell’antico lamento dell’uomo di strada, della sua narrazione perenne. Il punto non è raccontare qualcosa di nuovo, è impossibile, mi par impossibile persino restituire la trama alla letteratura, la letteratura non ha interesse alcuno per qualcosa di straordinario da raccontare.

Prendiamo le nostre letture giovanili ad esempio, pensando a queste o se ci chiedessero dei libri che abbiamo amato: io risponderei attenendomi alle pulsioni dell’autore, piccoli cammei fatti di osservazioni, paesaggi fisici e intimi spirituali, non penserei esattamente all’odiosissimo plot.

Quando rifletto sulla solitudine di Stefano, l’ingegnere bardato di ideologia, l’antifascista confinato del romanzo di Pavese “Prima che il gallo canti” (è sempre l’esempio che mi riesce meglio), ho in mente nitide certe immagini, certi sussulti morali, mi annoia la vicenda tout court, riassumerla intendo. Ho in mente le ombre fragili infrangersi sui colli aspri, la condizione umana del confinato, più che l’apprendistato politico del dissidente.

Mi importa meno raccontarvi di Gianino, di quel che accadde in osteria, mi interessa oltremodo Elena il suo patetico amor proprio, la sua ritrosia, il suo sconsolato piccolo mondo di paese, la sua carne caduca, trofeo di abbandoni, la sua eroica ignoranza.

Non cercate la trama nelle cose che scrivo dunque, ho amato Pavese. Sono esercizi di stile, è vita ordinaria.

Il Fatto Personale

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