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Il costo del lavoro: per un pugno di euro

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Un blitz della Guardia di Finanza ha scoperto in un call center di Palermo 37 lavoratori, tra i 19 e i 50 anni, che prestavano la loro opera per due euro l’ora. Penso che sia sterile e superficiale leggere vicende come questa solo come l’opera di avidi sfruttatori del lavoro altrui: l’avidità è una costante del comportamento umano e non è quindi una notizia. Il problema è che questa gente non ha trovato alternative. La notizia che merita invece attenzione è perché dei giovani e dei meno giovani accettino una paga così umiliante: una vita senza lavoro, senza un ruolo nella società, è una vita senza dignità da scongiurare a qualunque prezzo.

Il lavoro che non c’è dunque. Ma siamo sicuri che il lavoro non ci potrebbe essere? Non staremo forse difendendo ottusamente uno stato di cose che impedisce una vita dignitosa ad intere generazioni? Tra lo sfruttamento, da condannare sempre, e i disincentivi ad investire che portano investitori domestici ed esteri a scartare l’Italia come opportunità di investimento, forse, per una classe politica oculata, sarebbe più fruttuoso rimuovere i disincentivi quali quello dell’alto costo del lavoro: perché non si ragiona innanzitutto di questo oggi in Italia? Chi non lo fa, avendo potere e responsabilità per farlo, è oggi censurabile non meno degli sfruttatori appena smascherati: non accontentiamoci di aver tolto una pagliuzza dall’occhio del Paese prima che siano vincoli esterni, tipo Grecia, a far crollare il costo del lavoro per rilanciare gli investimenti a parità di produttività. Pasti gratis non ne esistono e, se c’erano, sono finiti.

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