Alti livelli di disturbo da stress post traumatico. Hanno un nome e un volto le ferite lasciate nel cuore dei bambini emiliani dai terremoti di maggio 2012, quelle scosse iniziate alle 4.03 di una domenica mattina che doveva essere come tante altre, e susseguitesi, interminabili, mese dopo mese, senza soluzione di continuità. Problemi legati al sonno, ansia, tensione, disturbi dell’attenzione. A raccontare quali sono stati gli effetti dei fenomeni sismici sui più piccoli è uno studio condotto dall’università di Modena e Reggio Emilia, nato per analizzare l’impatto del trauma sui bambini e sui loro genitori, e presentato oggi, dodici mesi dopo il terremoto.

Secondo i dati raccolti a novembre 2012 dai tirocinanti, appositamente formati, di scienze dell’educazione e scienze della formazione, su un campione di 900 alunni delle scuole primarie di Rovereto sulla Secchia, Carpi e Novi di Modena, le scosse hanno provocato disturbi da stress post traumatico nell’80% dei bambini. Una percentuale “già alta” che però “cresce con l’età, e con la conseguente comprensione dell’evento, della sua drammaticità e pericolosità”, arrivando a toccare il suo picco nelle classi quinte, dove ben l’84% dei bambini italiani e l’88% di quelli stranieri rivela segni di stress post-traumatico.

Analizzando i risultati delle interviste individuali e dei questionari somministrati agli alunni selezionati per il campione, tesi a individuare non solo l’impatto dell’evento sui più piccoli, ma anche i fattori che hanno contribuito a contenerne gli effetti, allo scopo di identificare elementi che possano essere alla base di interventi futuri, rivolti sia alla popolazione colpita, sia a persone coinvolte in fatti traumatici assimilabili al terremoto, spiegano gli psicologi, “non sorprende che l’evento stressante sembri aver colpito maggiormente la popolazione di Novi e Rovereto, dove si registrano medie superiori di stress post-traumatico”.

Ma “i segni psicologici lasciati dal terremoto” non hanno coinvolto solo i bimbi: “Sono ancora più evidenti tra i genitori, dove sono le madri a presentare quadri più stressati, come suggerito dal dato impressionante secondo cui il 92% (a fronte del 76% dei padri) presenta segni di stress post-traumatico”. Che, comune nelle vittime di catastrofi naturali, si manifesta con paura, sintomi dissociativi, disordini depressivi, disturbo dell’adattamento, d’ansia, della condotta e disturbi dell’attenzione.

Perché in Emilia non solo gli edifici sono andati distrutti. Ma anche la fiducia della popolazione nei confronti del futuro. Alla fiducia, scossa dopo scossa, è subentrata la paura. Una tensione che, a partire da maggio 2012, ha incrementato il consumo di psicofarmaci nelle zone terremotate, circa il 30% in più, che ha provocato un aumento del numero di disturbi psicologici negli emiliani, e un’impennata del 15% dei casi di demenze tra gli anziani o, in generale, delle sindromi depressive.

A fronte di questa situazione, spiegano gli psicologi, un dato positivo emerso dall’indagine riguarda “a sorpresa” l’integrazione. “I bambini – sottolinea la ricerca – hanno fortemente sentito il sostegno psicologico non solo dei genitori, ma anche degli amici. Infatti, gli alunni si vedevano come un gruppo unico, quello delle vittime del terremoto, e desideravano conoscersi e aiutarsi l’uno con l’altro, indipendentemente dalle appartenenze sociali e dell’origine etnica. Sembra allora che, per i bambini, l’evento traumatico abbia rinforzato i legami sociali tra due gruppi (italiani e stranieri) le cui relazioni sono spesso conflittuali”. Al contrario degli adulti, che secondo una ricerca parallela, hanno dimostrato maggiori “difficoltà di integrazione e convinvenza” con i concittadini stranieri.

Secondo la fotografia scattata da Unimore sugli effetti del terremoto, sono due, quindi, i fattori chiave per migliorare il benessere individuale: condurre interventi che agiscano sulle capacità di mentalizzazione dei bambini, l’abilità di riflettere sui propri stati mentali per gestire l’evento stressante, e sul miglioramento delle relazioni sociali.

Il disturbo da stress post traumatico, spiega la dottoressa Barbara Forresi, psicologa del dipartimento di Medicina diagnostica, clinica e di sanità pubblica dell’Università di Reggio Emilia e Modena, “non è un disturbo d’ansia generico e può avere sintomi gravi, come una tensione anche fisica nel bambino, una condizione di allarme costante che lo porta a reagire persino ai rumori più forti, difficoltà legate al sonno, all’attenzione. Sintomi non facili da diagnosticare, perché senza una ricerca specifica è difficile che sia il bambino a chiedere aiuto. Magari lamenta un mal di testa, un mal di pancia, dice che fa fatica a dormire. Per questo è importante continuare a monitorare la situazione laddove un fenomeno grave come il terremoto si è verificato. Tuttavia – precisa la Forresi – non vogliamo allarmare la popolazione: la ricerca ha analizzato presenza della sintomatologia post traumatica, ma riscontrare uno o più sintomi non comporta automaticamente la presenza del disturbo completo”.

Secondo uno studio “pilota” condotto proprio dal dipartimento di Medicina diagnostica, clinica e di sanità pubblica dell’Università di Reggio Emilia e Modena, con il benestare del comitato etico, a maggio 2013 si è riscontrato che il disturbo, in tutta la sua gravità, colpisce ‘solo’ il “5%” dei bambini. Quindi è inferiore il numero di coloro che presentano tutti i sintomi, rispetto a chi, invece, ne presenta uno o più di uno. “E’ importante specificarlo – spiega la psicologa – ed è importante dire anche che l’Emilia Romagna è terra di ottime pratiche in questo campo, e che stiamo collaborando a livello internazionale per colmare le lacune che in Italia esistono, in termini di strumenti per diagnosticare questo problema specifico. Con il professor Ernesto Caffo, neuropsichiatra infantile, per esempio, stiamo attivando corsi specifici evidence based proprio sul trattamento dei disturbi post traumatici, basato sull’approccio della terapia cognitiva comportamentale focalizzata sul trauma”.

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