“Mi sono preso una bella pesca, ora dovrò cancellare i miei punti fermi: nei weekend di pioggia a dormire sul divano e d’estate al mare”. Si sente sorridere dall’altra parte del telefono, mentre  il neopresidente della Virtus Bologna, Renato Villalta – 449 presenze, 7306 punti in 13 stagioni in canotta bianconera – commenta l’ufficializzazione del nuovo incarico dirigenziale nell’organigramma della sofferta fondazione Virtus Pallacanestro.

Il campione simbolo dei bianconeri, allontanato a fine carriera con una sberla mica tanto simbolica da un presidente – Cazzola n.d.r. – che forse non l’amava, poi diventato imprenditore, politicamente e amichevolmente vicino a Romano Prodi, ritorna in sella su quella Virtus che nell’annata 2012-2013 sembrava esser partita forte per poi sprofondare nelle acque della retrocessione: “Ripartiamo dal gioco di squadra”, spiega il campione, classe ’55 da Maserada sul Piave (Treviso), “oltre a me ci saranno anche un amministratore delegato, un cda e un responsabile tecnico, ma voglio che in futuro la Virtus proceda con scelte condivise. Mi pongo come obiettivo: far crescere i giovani, l’attaccamento alla squadra, e perché no, tornare a vincere”.

Una stagione fallimentare da cui non si può prescindere, e che è diretta causa anche del suo neoincarico?

“Non voglio sindacare sul recente passato. Tiriamo una linea. Dopo di dieci anni di proprietà personalizzata cambiamo. Da una fondazione con 14 soci e un padre padrone, spero che i soci diventino 50, 100 o 1000”.

C’è un modello di gestione della presidenza che seguirà? Magari il modello avvocato Porelli?

“Non me ne parlate. Ho i brividi. E’ stato un maestro per me. Creò il senso di appartenenza alla maglia bianconera. Ci saremmo buttati tutti in fosso per lui senza pensare. Noi giocavamo in campo e al resto pensava lui. Insuperabile”.

Ripartire dai giovani. Qual è la situazione del vivaio bianconero? Le giovanili le gestirà direttamente lo fondazione?

“Intanto il vivaio è imprescindibile per rinascere e la fondazione ha la sua pienissima gestione. Sarò comunque più preciso quando avrò studiato meglio gli atti formali”.

Questione palasport e sponsorizzazioni: Unipol è socio fondamentale della Virtus e c’è pure l’arena di Casalecchio con il suo nome, difficile venire via da lì…

“Dall’esterno sembrano decisioni facili, ma dall’interno no. Comunque il palasport di piazza Azzarita ha bandiere biancoblu dappertutto, cosa facciamo giochiamo dove sono appese le foto di Pellacani che gioca? Poi siamo in una zona del centro piena di telecamere per multare le auto: per i tifosi nostri e ospiti è difficile parcheggiare e muoversi. Tutto è fattibile per carità, ma c’è una certa differenza tra strategie di marketing per un palazzo da 9mila persone e un altro da 4 mila. Altro motivo, forse il più importante: di soldi degli sponsor oggi non ce ne sono, la crisi morde tutti i settori, dobbiamo ottimizzare le risorse che abbiamo”.

Sotterrata l’ascia di guerra con il presidente Cazzola?

“Certo, e non fatico nemmeno a ricordare l’episodio. Quando da giocatore lasciai la Virtus, mi fu garantito da Paolo Francia un posto da dirigente a fine carriera. Niente di scritto, ma nell’era dell’avvocato Porelli ero abituato a dare valore alla parola. Con Cazzola al timone la promessa non fu mantenuta e decisi di fare causa alla società. Poi la vicenda si è chiusa in modo pacifico. Eravamo comunque arrivati a un punto in cui quando venni a giocare a Bologna con la maglia di Treviso come avversario della Virtus, a mia moglie incinta, che mi volle vedere giocare, fecero pagare il biglietto. Poi ci penso il custode del palazzo dello sport, Andalò: “Finchè ci sono io i Villalta non pagano”. Infine con Sabatini venne ritirata la mia maglia numero 10, nessun giocatore ora la può più indossare. Lo storia della Virtus non si poteva cancellare così”.

Non è nemmeno più epoca di sogni faraonici alla Kobe Bryant…

“Sto seguendo i playoff Nba in questi giorni. Lebron James è il top, il più tecnico e completo. Però ammiro particolarmente un giocatore come Kevin Durant degli Oklahoma City Thunders, uno che riempiono di botte ma che giocando in modo naturale, lascia un segno sempre positivo e fa vincere la squadra. Detto questo, non abbiamo un euro, questi marziani dell’Nba continueremo a guardarli in tv”.

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