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Governo Letta e l’agenda digitale

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Serve ora un sottosegretario all’agenda digitale? Dipende da come lo s’intende. Non solo il paese, non solo la politica, da questi mesi di lacerazioni anche la rete ne esce a pezzi. Ed è un bene.

Tra tanti guru che si auto-proclamavano portatori del verbo digitale, la rete si è limitata a riflettere, anzi amplificare, le diverse opinioni della realtà sociale. Nel farlo, si è imposta come il medium con cui tutti, cittadini e politici, devono confrontarsi per far valere le proprie istanze. Strumento di tutti, privilegio di nessuno. In realtà, un vero trionfo per Internet.

E, con questo, grazie al cielo, tramonta ogni velleità di assistere alla nascita di fantomatici partiti della rete. Il colpo di grazia gliel’ha dato proprio il Movimento 5 Stelle, nel proprio tripudio di velleitarismo digitale (che, ad ogni modo, pur nei propri limiti, rimane l’esperimento più compiuto di utilizzo della rete per l’organizzazione della politica).

Dunque serve un sottosegretario all’Agenda Digitale? Dipende. Se per esso s’intendesse il presunto rappresentante del popolo della rete, possiamo farne a meno. Grazie, abbiamo dato. D’altro canto, tecnicamente, l’agenda digitale esiste già, essendo stata varata dal precedente governo tecnico. Da perfezionare e completare, con una pletora di decreti da attuare, ma esiste già.

Se, dunque, per sottosegretario all’Agenda Digitale s’intende una competenza tecnica, cui ora graverebbe anche il compito d’implementare e migliorare la legislazione varata dal precedente governo, allora ben venga. Senza retorica e con tanto lavoro da fare. O, per dirla con le parole del saggio capogruppo al senato del M5S, Vito Crimi, da ora contano i fatti.

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