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Mafia, servono magistrati vivi non martiri da piangere

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“Si muore quando si è soli…” diceva Giovanni Falcone. Uno dopo l’altro sono stati lasciati soli Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellinoe uno dopo l’altro li hanno massacrati, assieme alle mogli, se le avevano accanto, agli uomini e alle donne della loro scorta, massacrati e poi pianti con ipocrite lacrime e onorati soltanto perché erano morti, non costituivano più un pericolo per chi, lasciandoli soli, ne aveva decretato la morte.

La mafia non manda lettere anonime, la mafia non invia avvertimenti di morte, la mafia esegue le condanne a morte imbottendo l’autostrada di tritolo e azionando un telecomando, riempiendo una Fiat 126 di Semtex, l’esplosivo in uso ai militari e ai servizi segreti che qualcuno gli ha fornito e ha controllato che fosse piazzato a dovere. La mafia, non avverte, la mafia uccide. Ma c’è chi indica chi deve essere ucciso, chi può essere ucciso, si tratti di un magistrato che ha osato portare davanti alla sbarra degli imputati pezzi deviati dello Stato, delle istituzioni, si tratti del figlio di un mafioso che ha osato infrangere una scellerata congiura del silenzio pronunciando un nome “trattativa” fino ad allora impronunciabile, si tratti di un altro magistrato che squarcia il velo di un “depistaggio di Stato” messo in atto per coprire i veri autori e i veri mandanti di una “strage di Stato”.

Tutto è troppo simile a quanto avvenuto prima delle stragi del ’92 e lo dice, come monito, la stessa missiva che non è scritta da mano mafiosa, ma da chi della mafia si è sempre servito. Ma noi stavolta questi giudici non permetteremo che diventino eroi, noi è di magistrati vivi che abbiamo bisogno.

Lunedì, alle 18, saremo tutti, con le nostre agende rosse, attorno al palazzo di Giustizia di Palermo, noi pretendiamo Giustizia e Verità e non permetteremo che la storia si ripeta.

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