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Una via a Jannacci, il più grande autore in dialetto milanese

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Anche se ne hanno parlato in tanti, alcuni senza sapere bene di cosa parlavano, altri con precisione (Gianni Mura domenica su Repubblica e Massimo Fini più di tutti sul Fatto di oggi), alcuni per dovere e altri “con passione e sentiment” (come diceva lui), vorrei dire qualcosa di mio su Enzo Jannacci. Non sono un critico musicale, ma un semplice fan che possiede – li ho contati stamattina – 16 suoi “33 giri” rigorosamente in vinile comprati alla loro uscita e che ha visto tutti i suoi concreti dal ’68 in poi. E come tale voglio aggiungere un mio pensiero su un aspetto che mi è parso un po’ trascurato in questi giorni.

Molto è stata celebrata la vena surreale dei testi di Jannacci, la sua intensa partecipazione alla vita degli emarginati, la ricerca in campo musicale, l’originalità delle sue performance; meno si è parlato della sua scrittura in dialetto milanese, tanto che pochissime sono state le citazioni di alcune canzoni straordinarie: Ti te sé noAndava a Rogoredo, ricordate solo da Massimo Fini, El me indiriss o la stupenda Per un basin che – posso sbagliare – mi sembra nessuno ricordi più. E invece a questi testi bisogna proprio rendere un omaggio particolare. Sono testi che, insieme alla più celebre El purtava i scarp del tenis, fanno di Jannacci (so che la cosa non piacerà a qualcuno ma la dico lo stesso) il più grande autore in dialetto milanese del Novecento. E poi c’è un altro fatto: i dialetti, i dialetti padani e in particolare quello lombardo, hanno subito negli ultimi anni vari oltraggi: sbandierati da persone che non ne capivano il valore, utilizzati per celebrare riti insulsi, identificati con le espressioni più banali e volgari come il celebre citatissimo “foera di ball” bossiano. Dopo tante brutture, ascoltare il milanese di Jannacci è un piacere e un dovere.

Ma resta aperto un problema non da poco: come si è visto e capito in questi giorni pieni di malinconia e di affetto, Jannacci appartiene a una generazione che è ormai in là con gli anni. I giovani proprio non lo conoscono. E allora mi permetto di avanzare una proposta, una richiesta al sindaco Pisapia che già ha dimostrato tanta sensibilità e alle altre autorità competenti: al più presto non solo una via o una piazza dedicate al nostro Enzo, ma soprattutto una scuola, in modo che, ogni giorno, i ragazzi che vi entrano e i loro giovani genitori che li aspettano all’uscita possano sapere c’è stato un grande poeta, la cui poesia non può essere dimenticata.

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