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Devendra Banhart: la “Mala” ambiguità semantica

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Di madre venezuelana e padre americano, il nome Devendra venne consigliato ai genitori da un santone indiano: non un semplice presagio, questo, per un personaggio atipico nel mondo della musica americana. Quando agli inizi della carriera si presenta come un hippie vagabondo e bizzarro, non sono in molti a puntare su di lui. Poi, dopo esser salito sul treno in corsa del movimento neo Folk – lo stesso su cui sono saliti personaggi come Jonathan Wilson, Fleet Foxes e Father John Misty, Mumford and Son, Edward Sharpe con i suoi Magnetic Zeros, Bon Iver e Wilco solo per citarne alcuni – , su Devendra si concentrano gli occhi di pubblico e critica: perduta quell’aura hippie, Banhart torna con Mala, il suo ottavo disco, dalle tinte folk psichedeliche ma con qualche novità, come la canzone cantata in tedesco (Für Hildegard von Bingen) e l’uso sporadico dell’elettronica.

Nel disco emerge intatta la passione – visibile in maniera cristallina quando esegue le sue performance – in modo così fulmineo e così incosciente, che ha condotto Devendra a esplorazioni sonore di pregevole qualità, che vanno dal folk al country rock, dal pop all’elettronica, in un continuo mischiare le carte in tavola, come fa con gli idiomi (inglese, spagnolo, tedesco) per via dell’aspetto multietnico della propria personalità, sempre accompagnato da quel vezzo “diversamente romantico”. Dodici canzoni che prendono diverse direzioni anche se poi la destinazione è unica, lasciandosi guidare soltanto dai sentimenti. Un album dalle letture metriche puntuali e uniformi che riesce a donare una piacevole sensazione di pace e di candore: dal viaggio iniziale di Golden Girls fino alla conclusiva Taurobolium, frammenti di vita che s’insinuano nelle pieghe dell’anima.

Nelle interviste rilasciate a margine dell’uscita del disco, Banhart ne spiega la chiave di lettura e quel che ne emerge è la voluta ambiguità semantica, a partire dal titolo “Mala”, che in serbo, la nazionalità della fidanzata Ana Kras, significa “tenero” mentre in spagnolo “cattivo”. Conseguentemente, le canzoni sono sospese tra i due lati opposti, dove da una parte l’allegria, la gioia di vivere la fanno da padrona, mentre dall’altro, a tratti, si proiettano ombre dal di dentro prodotte da un passato neanche troppo lontano.





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