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Beni confiscati alle mafie, Selva Lacandona a Chiaiano

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Dopo 13 anni di abbandono istituzionale, oggi il bene confiscato “fondo rustico” in località Martino di Fuschi di Chiaiano, che insieme a Scampia, Marianella e Piscinola forma una municipalità del comune di Napoli, riapre i cancelli per essere restituito alla società. Un bene confiscato di circa 14 ettari di vigneto e pescheto lasciato nelle mani della camorra, nonostante la confisca, per più di un decennio.

Un paio di giorni fa sono lì con Ciro Corona, presidente dell’associazione (R)esistenza, a cui il Comune di Napoli ha affidato definitivamente il bene. C’è il sole e sembra arrivata finalmente la primavera.  Il pescheto comincia a far presagire i fiori che verranno. Faccio un giro per i campi con Egidio, uno dei rappresentanti della Cooperativa sociale (R)esistenza, che insieme all’associazione, gestirà il bene e in rete con scuole, associazioni, cooperative del territorio, avvierà sul fondo progetti di inserimento lavorativo di adolescenti e minori, unica alternativa concreta al lavoro criminale. Dal punto più alto della tenuta, si vede la discarica di Chiaiano, quella contro cui tante delle persone che sono oggi qui hanno combattuto, vincendo. Egidio è stato uno degli artefici di quella vittoria: ha meno di trent’anni, parla tanto, è entusiasta di essere lì. Per lui la vita è politica, di quella sana, di quella attiva, di quella che serve a questo paese.

Egidio mi dice che la tenuta sarà ribattezzato col nome Selva Lacandona, in onore della foresta messicana e manterrà in ricordo commemorativo la dedica ad Amato Lamberti, studioso e avversario della camorra.

Intorno ad un tavolo, vicino alla baracca degli attrezzi, ci sono altre persone, che nell’ultimo anno, forti di un affidamento protempore all’associazione, hanno prodotto marmellate e succhi di pesca, organizzato la prima festa della vendemmia e distribuito i frutti della terra al vicinato e ai ragazzi delle scuole durante la festa inaugurale dell’anno scolastico. Al centro del tavolo c’è una bottiglia di falanghina, espressione del vigneto. Ci sediamo e brindiamo alla terra, che ritorna a chi la merita. Enzo, capelli e pizzetto bianchi, pelle bruciata dal sole, bello con i suoi profondi occhi verdi, mi versa la falanghina.

“Il vino bianco ti butta giù, quello rosso ti tira su”.

Lo guardo. Sorrido. Questa è una delle occasioni in cui potrei spiegare il mio rapporto con il vino. Non mi piace pasteggiare bevendo vino, ma oggi, lontano dai pasti, questo vino si deve bere, perché è buono, perché ha un valore, perché è rivoluzionario, perché è un vino di lotta, anche se bianco.

Ma oggi proprio non ci riesce a buttarmi giù la falanghina non filtrata della Selva Lacandona. Per intenderci, quella che sta a Chiaiano.

 

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