Conosco un editore che ieri, appena saputo di Ratzinger, avrà chiesto ai suoi collaboratori se ci sono romanzi di argomento papale – meglio se un giallo o un saggio – da pubblicare.
Penso che un po’ di editori ci saranno rimasti di cacca: ché magari avevano pronto un “romanzo-coccodrillo” (sul Papa, su Fidel, su Berlusconi, anche) ma a un “romanzo-dimissioni” non avevano certo pensato.
Comunque. La proposta che segue tocca l’argomento. Ma non è marketing. E’ un caso.
Buona lettura. 
reb

Un nome completamente diverso

di Ernesto Melis

Incipit

Il telefono squillò, anche se non si trattava propriamente di un telefono, e non essendo un telefono non poteva squillare. Ma è meglio cominciare dall’inizio. Il che, parlando di chi staremo per parlare, significherebbe addentrarsi molto tempo indietro, agli albori della storia e prima ancora all’epoca in cui neolitici zampettanti immaginavano, religiosamente, che la caccia rupestre fosse la medesima d’azione.

A quell’epoca il soglio pontificio era in fase d’assegnazione. L’imbarazzo serpeggiava fin dal primo conclave tentato dopo l’ultima regolare espletazione dell’incarico. Si fermò tutto già il primo giorno, con un inaspettato pareggio tra Richard Chiimbwe, cardinale rodesiano vanto della fame nel mondo, e il più burocratico e tradizionalista Sua Eminenza, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, Michele Salviati, vaticanissima espressione delle spinte preconciliari, il tipo dal quale ci si aspetterebbe la rievocazione del latinorum al solo fine di rendere intelligibile ogni tentativo di dialogo. I pronostici favorivano a dire il vero quest’ultimo, forte di lobby di manipolazione giovanile, appoggi nel mondo della finanza e non da ultimo l’occhiolino di una Madonna se non piangente almeno umida e infastidita da un po’ di polvere sulle ciglia. Ma il terzo mondo spingeva, senza averne la forza, s’intende, e la rigorosissima coscienza sociale prima ancora che salvifica dei convenuti all’elezione di Mister Infallibilità, o più prosaicamente un sano broglio elettorale, sparigliarono la contesa, mettendo uno contro l’altro questi pesi massimi del cattolicesimo.

C’erano norme precise in casi come questi, ma il fato decise di risolvere la cosa a modo suo. Col senno di poi fu chiaro come il fato non ci fosse entrato per nulla, e vedremo perché, lasciando un velo di mistero sul mandante, d’agente o di causa efficente, del casus da cui scaturì tutto quanto poteva scaturirne nell’immaginabile e al di là dell’immaginabile. E tanto vi basti sapere. Abbandoniamo quindi sovrastruttura e contingenza per concentrarci su un uomo, lontano da pensieri e riflessioni, non dico religiose, ma ancor solo spirituali, il cui rancoroso ordito accompagnerà, almeno inizialmente, questa nostra narrazione.

A dispetto del cognome, e in barba al consequentia rerum, il nostro uomo, vecchio d’età e nobile di stirpe, si chiamava Stefano Gentaglia. Cadetto e ultimo sopravvissuto, pare per meriti criminali, di una famiglia della vecchia nobiltà papalina, cambiò il suo nome nel detto, in spregio e anticlericalismo, come reazione alla beghinità del cespito.

Scrittore solo e misantropo, teorizzava la solitudine solipsista per depurare la sua arte, senza che mai effettivamente scrisse una riga narrativa. Sovente tastare la cameriera, giovane veneta che cercò in memoria del tempo e dei luoghi durante i quali le classi sociali erano a suo favore, si faceva da questa leggere l’effemeridi capitoline, come le chiamava, vantandosi tra sé e sé della sua sagacia lessicale.

La Rosaura quel giorno avrebbe potuto finalmente cedere agli appetiti sessuali del vegliardo, e questa storia sarebbe finita, o quantomeno deviata verso altre vie, forse meno peculiari ma di certo più maliziose e vivide. Invece non si concesse, non al Gentaglia almeno, perché altrove e ad altrui lasciava lasciva lisciare le sue grazie. Così lesse. Del conclave, fumo nero, quote di scommessa, osservazioni argute dell’editorialista riformista e preci provvidenziali delle testate più conservatrici. Lesse finché arrivò alla congiuntivitica Vergine, e il vecchio pianse anch’egli. Fulmineo di gioia, gli impulsi sotto la sua bregma architettavano già il piano che inciderà sul resto delle faccende terrene da quel momento alla fine dei tempi: e non è esagerazione dare tanta longevità a quanto ne sarebbe conseguito.

Quarta di copertina

“Da dio […] sarebbe una pretesa ridicola aspettarsi che mostrasse un interesse speciale per quanto accade sul piccolo pianeta terra, il quale peraltro, e questo forse non è venuto in mente a nessuno, è da lui conosciuto con un nome completamente diverso” (Le intermittenze della morte, Josè Saramago)

Da questa premessa, l’irriverente fantasia a briglia sciolta di Dio costretto al ritorno sul nostro pianeta per l’emergenza miracolare e clericale di una statua piangente della Madonna che prende vita durante il più sofferto tie-breakall’elezione pontificia degli ultimi secoli.

Ma quando a scomodarsi è l’”io sono colui che sarà” non è detto che il futuro faccia parte dei suoi piani nel risolvere i problemi della Terra.

L’autore

Classe 1978, lascia gli studi universitari in campo umanistico per due volte dopo un minimo ma significativo excursus lavorativo tramite agenzie di lavoro iterinale. Alterna lunghe consulenze professionali nel campo dello sviluppo informatico a periodi di attività di scrittura (cinema e narrativa) sempre più brevi, dopo aver definitivamente abbandonato la carriera teatrale.
Ernesto Melis è uno pseudonimo 

ernesto.melis@camallosospetto.net 

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