C’è una caratteristica che accomuna queste due voci e che oso ipotizzare abbia giocato un ruolo importante nel loro avvicinamento: sia Jamie Stewart, anima dei Xiu Xiu, sia Eugene Robinson, che ci ha regalato le sue perle come frontman degli Oxbow, condividono da sempre un modo di intendere l’interpretazione vocale assolutamente drammatico, indolente, sofferente, enfatico, teatrale, sopra le righe insomma, nonché un’attitudine a calcare la mano su sonorità stridenti e talvolta torbide e cacofoniche. Una scelta senza compromessi che se non ti chiami – che ne so – Scott Walker o Diamanda Galas difficilmente riesci a far digerire al pubblico ma nel caso delle due band in questione la missione è stata sempre condotta in porto in modo più che convincente, con molta classe, proponendo oltretutto formule musicali di non facile ascolto per chi non è avvezzo. Dall’incontro di questi due preziosissimi artisti californiani è nato il nuovo progetto denominato Sal Mineo che partorirà un nuovissimo album su Important Records in aprile ma che avremo la fortuna di vedere dal vivo sul palco del Locomotiv sabato 9 febbraio, in occasione della tappa bolognese del loro tour europeo.

Sal Mineo è stato uno dei primi grandi attori di Hollywood a dichiarare apertamente la propria bisessualità nei Sessanta. Tra i film in cui ha recitato appena sedicenne alcuni dei capisaldi di quel cinema che iniziava ad esprimere tutta la rabbia giovane degli anni cinquanta come “Rebel Without a Cause” di Nicholas Ray (“Gioventù bruciata”, 1955) e l’anno successivo “Crime in the Streets” di Don Siegel al fianco di un John Cassavetes non ancora nei panni di regista: il capolavoro con cui avrebbe esordito, “Shadows”, sarebbe uscito nel 1959. Nell’ambiente, dopo queste interpretazioni, il giovane Salvatore “Sal” Mineo si era guadagnato il soprannome di “Switchblade Kid”, il ragazzo con il coltello a serramanico: una sorta di drammatica legge del contrappasso ha forse voluto che l’impersonificazione sul grande schermo di un’esistenza turbolenta e maledetta come il rock and roll delle origini (e poi il punk) sia sfociata nel 1976 nella sua morte violenta, colpito al cuore da una coltellata in un vicolo dietro la sua abitazione di West Hollywood a soli 37 anni.

Del resto la scelta di nomi di star ed attori a rappresentare una band pare avere una recrudescenza ultimamente: ad esempio l’ex El Guapo Justin Moyer da qualche anno incide su Dischord con il nome di Edie Sedgwick, una delle muse di Andy Warhol. Lo stesso nome della nuova creatura musicale allestita all’inizio dello scorso decennio da Jamie Stewart insieme a Cory McCulloch, dopo il non proprio memorabile “Cinematic Death Mambo” degli IBOPA, ha una stretta relazione con l’immaginario cinematografico poiché mutuato da un film cinese di Joan Chen del 1998: “Xiu Xiu, The Sent Down Girl”. Gli Xiu Xiu esordiscono nel 2002 con un grande disco che li sbalza subito agli onori delle cronache musicali di mezzo mondo: anche qui, ironia della sorte, di lame si tratta, anzi di giochi di coltello: “Knife Play” esce per 5 Rue Christine / Kill Rock Stars ed impasta in modo assolutamente originale tanta scura abrasività post-punk con una spiccata emotività dalle tinte poetiche. Per comprendere che quello è stato uno dei dischi più importanti dello scorso decennio basta constatare come negli ultimi anni siano tornate prepotentemente alla ribalta sonorità gotiche e darkwave in una nuova chiave evoluta, dalla Tri Angle ai Salem agli XX fino ad un disco manifesto come “Hidden” dei These New Puritans (2010) che riassume tutte queste tendenze tra il sepolcrale, il tribale, l’ancestrale.

Tanti ottimi album negli anni successivi per i Xiu Xiu di Jamie Stewart che canta di muscoli favolosi, donne amanti e tòpoi più classicamente dark come la foresta. Se oggi Antonio Ciarletta sulle pagine di Blow Up, a proposito della nuova scena industrial dance blackest ever black, sostiene con un’efficace immagine che “il fantasma di Ian Curtis vaga ghignante tra lo sfascio di queste musiche” mi piace ricordare come “A Promise”, il secondo album dei Xiu Xiu pubblicato nel 2003, si chiudesse proprio con una “Ian Curtis Wishlist”.

Cosa c’è invece sulla copertina di “Let Me Be a Woman”, terzo disco degli Oxbow? Indovinate un po’: un delinquente che tende un agguato in un vicolo ad una bella donna impugnando un lungo coltello. Lame su lame su lame. Quest’articolo avrebbe dovuto scriverlo un arrotino. Gli Oxbow sono stati semplicemente una delle noise band più raffinate e conturbanti degli anni novanta: il frutto del loro operato ha raggiunto l’apice poetico con il doppio LP “Serenade in Red” del 1997, registrato come il precedente nientepopodimeno che da mister Steve Albini. Una delle migliori espressioni di quel noise blues da notte fonda che ha avuto tra i propri interpreti di punta band come i Chrome Cranks ed i Come di Thalia Zedek ma tra i pesi massimi anche Unsane e Jesus Lizard (il cantato di Eugene Robinson non può non ricordare a tratti quello di David Yow) hanno dato il loro imprinting. Disco magnifico che si conclude addirittura con una superba, grandiosa reinterpretazione di “Insane Asylum” di Willie Dixon. Ed il cerchio si chiude perché a duettare con il cantante degli Oxbow, che pare smarrire completamente il senno tanto è il pathos, c’è una delle voci femminili più incredibili di tutti i tempi, addirittura quella scolpita dalle sigarette di una Marianne Faithfull da brividi.

Ora dimentichiamoci per un attimo tutto questo background: diamo a due artisti come Jamie Stewart e Eugene Robinson carta bianca e godiamoci, semplicemente, Sal Mineo.

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