C’è una mostra molto interessante, ma anche spiazzante e piena di retrogusti, che suggerisco di affrontare. E non uso la parola “affrontare” per caso (Absence of Subject, Milano, Fondazione Stelline, fino al 7 aprile).
Si tratta di questo: August Sander, grande fotografo tedesco, negli anni ’20 intraprese il titanico progetto di ritrarre tutta la società tedesca del tempo, suddivisa per mestieri, classi sociali ecc. Nel corso di anni, per accumulazione, Sander andò creando un affresco fatto di ritratti fotografici ambientati, opera entrata nella storia col titolo Uomini del Ventesimo Secolo.
Oggi un fotografo americano, Michael Somoroff, si appropria (autorizzato) di 40 tra queste foto e rimuove, per via digitale, il soggetto del ritratto. Restano gli spazi vuoti, gli ambienti, gli oggetti inanimati. Resta, soprattutto, un’assenza.

Pasticciere, 1928 © Die Photographische Sammlung/SK-Stiftung Kultur – August Sander Archiv, Koln – VG-Bild Kunst, Bonn, 2011
Pasticciere, 2007 © Michael Somoroff (dalla mostra Absence of Subject, Galleria Fondazione Stelline, Milano 2013)


Se noi vedessimo le foto così rielaborate senza conoscere l’originale, le troveremmo certamente prive di senso, inutili ed anche esteticamente discutibili. Una – tanto per dire – è totalmente nera.
Il cortocircuito mentale, infatti, è tutto legato alla nostra conoscenza pregressa di una “verità” fatta di presenze che ci sembrano ora dissolte.
Le fotografie con e quelle senza sono volutamente esposte in maniera simmetrica, per un continuo incontro/scontro che ci crea ansie, domande, sgomento.

Finalmente un utilizzo del digitale in fotografia che lavora per sottrazione e che interroga, esattamente l’opposto della manipolazione che afferma; la foto non è ricostruita, ma decostruita.
Il paradosso visivo, in questo caso, è connesso al processo della nostra mente che conosce il soggetto ma, non trovandolo più al suo posto, ve lo proietta direttamente dal nostro immaginario, in un estremo e necessario tentativo di rimettere ordine nel mondo.

Dietro tutto ciò, ancora una volta, l’elemento che entrando in gioco apre una voragine sotto i piedi di chi guarda non è il soggetto della foto (che infatti… non c’è più), ma è piuttosto la dimensione temporale. Somoroff non ha solo tolto il soggetto, ma ha “spostato il tempo”, operazione umanamente impossibile.
Vediamo un prima o un dopo, dove gli oggetti preesistono o sopravvivono al pasticcere, al soldato, alla bambina.
In una foto, normalmente, noi vediamo “un passato al presente”. Somoroff complica ulteriormente le cose, e al passato congelato in un presente chiamato fotografia toglie la testimonianza di un “fu presente”, che diventa così un “sempre”.

Figlia di contadino, 1919 © Die Photographische Sammlung/SK-Stiftung Kultur – A. Sander Archiv, Koln – VG-Bild Kunst, Bonn, 2011
Figlia di contadino, 2007 © Michael Somoroff (dalla mostra Absence of Subject, Galleria Fondazione Stelline, Milano 2013)

Un’operazione concettuale per certi versi simile l’avevo segnalata in un post precedente e riguardava  Isabelle Le Minh, che nel suo Trop tôt trop tard, in maniera ancora più eclatante, rimuove dalle foto di Henri Cartier-Bresson non solo il soggetto principale ma, con esso, l’essenza stessa della visione bressoniana, ovvero il momento decisivo.
Non è essenziale indagare su chi tra i due ha per primo avuto l’intuizione, entrambi presentano un lavoro denso, a suo modo problematico, difficile da sostenere per chi guarda e molto istruttivo.
A loro va il merito di proporre un utilizzo delle potenzialità legate al digitale che non cerca di riempire dei vuoti ma vuole – viceversa – creare dei vuoti molto pieni di senso.

(Seguitemi su Twitter)

Articolo Precedente

Venezia, uno sguardo nuovo sui trofei di caccia

next
Articolo Successivo

Appello alla Melandri: non censuri il film di Emmott

next