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Bonaiuti, l’ologramma di Berlusconi

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Il fuoco di una telecamera su Silvio Berlusconi, la cornice che disegna, spesso riflette una smagliatura visiva, un lampo innaturale, qualcosa di intermittente: Paolo Bonaiuti, detto Paolino, ex vicedirettore del Messaggero, ex inviato speciale, ex editorialista da meditazione. In poche parole: un ex giornalista.  Bonaiuti ha vissuto più volte varie vite controverse: oppositore e imbonitore di Berlusconi, estimatore di Indro Montanelli, portavoce di un uomo tutt’altro che afono e gestibile, sottosegretario un po’ di palazzo Chigi e un po’ di editoria e affini. 
La comparsa che siede accanto, che cammina accanto, che parla accanto. Capita che Bonaiuti, incalzato dai Capezzone di turno, si eclissi per un mesetto e poi torni se solo torna il capo. La guida spirituale che si elettrizza e lo riavvia come un gruppo elettrogeno. 

Si può avere la sensazione che Bonaiuti sia un ologramma del Cavaliere, un ventriloquo che scatta in piedi se va liberato il palcoscenico, se va tessuta una trattativa, se va propalata una menzogna. 

Ecco, forse, Bonaiuti è il certificato di garanzia del sistema mediatico e mediale di Berlusconi: il ridetto, il riletto, il risentito. Lui non aggiunge, rimarca. Non spiega, ribadisce. Non informa, distorce. È facile pensare che, beccato in osteria a sorseggiare un Chianti di giovane stagionatura, sia un comunista immarcescibile, un notista politico irreprensibile, un fiero contestatore del berlusconismo in sé. 

È facile pensare che Bonaiuti, distante qualche telefonata o qualche chilometro dal Caimano, non sia Bonaiuti. O meglio: Bonaiuti non esiste. Pare quasi un granello di cipria che scivola con il vento dal viso rifatto del Cavaliere, un labiale che viene interpretato in differita, un sentimento che viene tradotto in contumacia. Bonaiuti è tutto quello che il Cavaliere vuole essere, quello che vuole apparire, e anche quello che Bonaiuti non è. Non sarà agevole l’esistenza di Paoletto: sfiderei chiunque a comprendere una balla colossale, a ripulirla del suo sapore sgradevole e poi a ripeterla come se fosse nuova, come se fosse sua. Ci vuole un terzo Bonaiuti per salvare i primi due.

Il Fatto Quotidiano, 14 gennaio 2013

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