Tra i nomi nuovi che popolano lo sconfinato catalogo di band provenienti da oltreoceano, meritano senz’altro una menzione i No, un quintetto Post-Hymnal Anthematic autoprodotto – con un nome non proprio agevole e che potenzialmente potrebbe assassinarne la carriera – di stanza a Los Angeles e che ha esordito nel 2011 con un Ep stampato in sole 500 copie intitolato Don’t Worry, You’ll Be Here Forever, da cui è stato estratto il singolo Stay with me, grazie al quale negli States diversi blog li hanno quotati come “la miglior nuova band di Los Angeles”. Sul loro bandcamp potete ascoltarne i brani (consigliate Another Life e There’s a Glow). In agosto, invece, hanno prodotto un nuovo mini Lp intitolato White Iris (Origami Vinyl), dove un Io ridotto in frammenti si prova a rimetterlo insieme usando le canzoni come collante.

Gruppo spalla dei Father John Misty – band messa su da Joshua Tillman, ex batterista dei Fleet Foxes – durante la loro tournée europea dove presentavano dal vivo il disco capolavoro Fear Fun, i No si sono esibiti sia a Roma sia a Bologna, e sfruttando alla grande l’occasione, hanno avuto modo di mettersi in mostra e farsi conoscere. Dal vivo sono davvero coinvolgenti: il frontman della band è Bradley Hanan Carter, un bestione dalle gambe arcuate e con una giacchetta da impiegato, dall’accento kiwi (essendo nato a Whangare, Nuova Zelanda) e con un timbro della voce che ricorda vagamente quella di Matt Berninger leader dei The National. È un personaggio umile e coerente, a partire dal suo senso di appartenenza alle radici proletarie che ha sempre portato con sé. La prima volta che ha messo piede negli States – racconta – si è presentato come chitarrista-cantante di una formazione rock, gli Steriogram. Successivamente, dopo aver trovato la catarsi in una nuova serie di canzoni e soprattutto, dopo aver conosciuto Sean Daniel Stentz, Joseph Sumner, Reese Richardson e Mike Walker – gli altri componenti della band – ha potuto dar forma e colore alle proprie idee. E così, dopo aver attraversato stagioni buie, insieme hanno scoperto che poi, essere felici non è poi cosa di cui vergognarsi. È solo una forma elegante di sopravvivenza.

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