Lo ammetto: è da un bel po’ di tempo che non mi alzavo così presto la mattina. Ho preso un treno a Reggio, un Frecciargento, sto andando a Milano per lavoro. Venerdì è nevicato e lungo i campi, a chiazze, alcune spruzzate bianche persistono. Il sole sta sorgendo, la luce rossastra – intensa – taglia i casali dispersi nelle campagna, l’aria è tersa. Gli alberi sono secchi e ancora avvolti dalla brina della scorsa notte. Le autovetture ferme ai caselli producono gran fumane, dirimpetto a me un popolo di pendolari a bocca aperta è intento nel rubare gli ultimi istanti di dormiveglia. Lungo questo tratto d’Emilia che tra breve sconfinerà oltre il Po in Lombardia mi viene alla mente Pier.

La sua epopea del viaggio della provincia italiana quanto è mutata in questi ultimi anni. In tanti si sono trasferiti verso i centri urbani, altrettanti emigranti li hanno sostituiti: arrivano dall’India per occuparsi del bestiame, dall’Est Europa per assistere i nostri anziani, ultimi testimoni del Ventennio nero del secolo appena trascorso. Gente umile quest’ultima, come scrive Pier Vittorio, che ci ha tenuto in braccio, che ci ha in qualche modo contenuti.

Anche le ideologie in questo cambiamento hanno compiuto vari giri di boa. Basti pensare alla «bassa» padana, da sempre rossa come lo era la bandiera del Pci prima che si dissolvesse; dalla quasi-unanimità di comunisti e socialisti formati dai commissari politici durante gli anni della Resistenza, alle ondate – deriva culturale – catturate dal rancore xenofobo leghista, fino ai movimenti attuali che rifiutano qualsiasi inquadramento. Le cosiddette generazioni a cui i politici e i partiti chiedono di essere, oggi, post-ideologici. Nella più grande crisi finanziaria vissuta dal dopoguerra. In questo mutamento, nonostante le dure calamità distruttive che li ha colpiti, la gente ha resistito, si è fatta forza come collettività. Ha cercato di rimboccarsi le maniche più di prima, ospitando, ricostruendo, provando a continuare a vivere.

Tondelli adorava gli abitanti della sua terra, era una difficile convivenza a volte ma ne riconosceva sempre il valore (soprattutto nelle donne, “rezdore” cioè reggenti, schiena d’Emilia) umano. Sottolineava spesso il cuore e la generosità di queste persone semplici non perdendo mai di vista però i loro nipoti, i giovani, affinché fossero consci del loro passato ritagliandosi il presente.

Pier Vittorio Tondelli moriva ventuno anni fa, il 16 dicembre del 1991, su un lettino ospedaliero. La malattia (l’Aids) lo aveva definitivamente prelevato dal suo piccolo borgo, nel quale, per quanto lui avesse potuto viaggiare attraverso il mondo, abitando da una parte all’altra del continente: “tutta la sua vita sarà contenuta in questo budello che va dalla casa in cui è nato al camposanto. Un paio di chilometri che percorrerà come le stazioni di una via della croce, quella dell’incarnazione e della sofferenza; “da qui a là” è un gesto mentale che lui ora ripete guardando in fondo al viale e ritornando con gli occhi sulla finestra che gli ha aperto il primo panorama della sua vita. “Da qui a là” è tutta intera la sua vita» (estratto da Camere Separate, Pier Vittorio Tondelli, 1989).

Grazie Pier.

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