Ha il cognome di un mito degli anni ’30. Ha il fegato di Giovanna d’Arco.
Si chiama Savannah Dietrich e ha sfidato il mondo. Lo stesso mondo che ha spezzato la sua vita, ha distrutto i suoi sogni, ha incrinato le sue naturali ambizioni, ha demolito le sue più legittime aspettative.
Ha sedici anni e in pochi minuti la brutalità, che le donne sono ancora costrette a subire da chi si sente uomo solo usando violenza, ha tentato di cambiare il suo destino. Ma lei, più forte della bieca prepotenza, più determinata della furia animale, ha saputo dire “no” a chi ha mortificato le sue carni, ha saputo affrontare quel che era dolore e non vergogna, è riuscita a puntare il dito contro i suoi carnefici.
Lo ha fatto con la stessa durezza dei suoi aggressori. E – quasi il mouse fosse il grilletto di una pistola – ha saputo fare il clic sul tweet più disperato e ha fatto i nomi dei suoi carnefici.
La tragedia è cominciata un anno fa, quando due suoi coetanei le hanno strappato reggiseno e mutandine durante una festa durante la quale lei aveva bevuto qualche bicchiere di troppo. E le mani dei ragazzi che non si fermano sugli indumenti vengono immortalate dalle foto che scattano con il cellulare per testimoniare il più indegno sfregio.
Ma Savannah è forte e tiene testa al dolore fisico e psicologico che l’ha messa a dura prova. E non ha paura nemmeno del giudice di Louisville che le ha intimato di non parlare della vicenda, condannando così la ragazza più dei due mostri.
L’aver violato l’ordine del magistrato forse la porterà dietro le sbarre, mentre i giovinastri – difesi da avvocati spregiudicati – potranno avvalersi di esimenti ed attenuanti e scontare solo poche ore di lavori socialmente utili.
Ma Savannah è ancor più forte e sa che ci si deve vergognare delle proprie malefatte, e certo non delle violenze subite.
Per tanti, troppi, non è così, come – ad esempio – dimostra la classe politica che non conosce imbarazzo mai, nemmeno nei casi più conclamati di pubblico ludibrio.
Qualcuno vorrebbe che adesso la ragazza usasse Twitter per rendere pubblico anche il nome del giudice che – pretendendo il silenzio – l’ha violentata una seconda volta.
Non c’è bisogno di alcun cinguettio online per scoprire l’identità dello “stupratore” togato perché gli atti processuali già circolano in Rete.
La vera sorpresa è quella di apprendere che si chiama Deana McDonald. E da una donna non ce lo si aspettava davvero.
umberto@rapetto.it
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