La Sardegna non è soltanto il frastuono delle sue coste sulle quali, in estate, si affollano schiere di turisti di ogni tipo. Neppure soltanto la protesta dei minatori della Carbosulcis.  Accanto al lusso degli alberghi a 5 stelle della Costa Smeralda e ai timori di tanti lavoratori, c’è spazio per altro. Per straordinarie testimonianze materiali delle età più antiche. Siti archeologici in primis. Così, nella provincia di Oristano. Nei pressi di Fordongianus, la città di Forum Traiani con i resti delle Terme affacciate su una grande piazza lastricata. Sull’altipiano di Campu, Corra. Non distante dalla strada per Cuglieri, i resti della città punica di Cornus. Ancora. All’estrema propaggine della penisola del Sinis, la città di Tharros che con alterne vicende prosperò dall’età fenicia al III secolo d. C.

Ma accanto a questo Patrimonio che le indagini archeologiche hanno permesso di conoscere, ve n’è un altro, per il quale mancano ancora importanti elementi. E all’interno di questa casistica di tesori sui quali occorre ancora fare luce trovano posto i colossi di Mont’e Prama, la Collina della Palma. Tra lo stagno di Cabras e i venti chilometri della penisola del Sinis. Ventotto statue in calcare recuperate, in frantumi, tra il 1974 e il 1979. Prima occasionalmente, poi con interventi d’urgenza e, infine, con una campagna di scavo. Chiarificatrice del contesto, non certo dell’ambito cronologico al quale riferire l’importante scoperta. Dal momento che i 5178 frammenti di sculture sono stati trovati in un accumulo disordinato, al di sopra di una serie di tombe a pozzetto.

La datazione comunemente accettata, oscillante tra il X e l’VIII-VI secolo a. C., ancora troppo approssimativa.

La loro scoperta, come spesso accade, non ha comportato una loro celere ricomposizione. Dopo la catalogazione dei frammenti, durata nove mesi, nel 1980 sono stati messi a deposito tra Cabras e Cagliari. Ma soltanto nel 2006 il restauro è stato completato. Così i sedici pugilatori, i sei arcieri e i sei guerrieri, che sfiorano il metro e novanta di altezza, hanno riacquistato le loro fattezze. E finalmente, tra il novembre e il dicembre 2011, sono state esposte al pubblico in occasione della mostra “La pietra e gli eroi. Le sculture restaurate di Mont’ e Prama”,  allestita nella Galleria espositiva del Centro di Restauro e Documentazione della Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro.

La mostra ha finalmente reso giustizia, alle raffinatezze di quelle sculture. Dalle capigliature a boccoli doppi o ritorti, agli ornamenti. Dalle tuniche lavorate ai fregi delle corazze. Dalla cura dei contorni e delle superfici dei visi agli occhi, costituiti da due perfetti cerchi concentrici. In sintesi dei capolavori dal passato enigmatico. Ma anche dal futuro incerto. Terminato l’allestimento, per i giganti di Mont’e Prama è iniziata una contesa. Una vicenda surreale non nuova per l’archeologia italiana. Come insegna anche la lunga disfida sul gruppo bronzeo dorato da Cartoceto di Pergola, nelle Marche. Così anche in Sardegna è  iniziata una battaglia di campanile su dove debbano andare i ventotto guerrieri di pietra. In ballo il Museo di Cagliari, il Centro di restauro di Sassari, e perfino un nuovo Museo, da realizzarsi ad hoc a Cabras. Senza scartare ipotesi ancora più fantasiose, come quella di far “girare” le statue. In un tour artistico che piuttosto che assicurare la loro visibilità ad un pubblico più vasto soddisfi l’egocentrismo di sindaci, presidenti e rappresentanti  della politica locale.

Il rischio, come spesso accade, è che il sipario cali anche su queste opere d’arte. E che a continuare ad interessarsene, siano solo pochi addetti ai lavori. Che le statue vengano nuovamente “sepolte”. Questa volta dall’indifferenza e dalla polvere di un muto deposito. Se ciò si verificherà si sarà persa l’ennesima occasione.

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