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Quando il riciclaggio è una professione

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L’indagine romana sulla infiltrazione di liberi professionisti in fallimenti “pilotati”, qui con l’aggravante fantasiosa dell‘invenzione dei creditori, ricorda un po’, nelle modalità ormai abusate, quelle dei falsi invalidi o delle tessere di partito intestate a defunti per raggranellare voti nei congressi.

Intorno alle procedure fallimentari dei Tribunali, cosi come agli altri incarichi affidati da questi a tecnici, ruota un’area grigia di professionisti – spesso senza titoli- i quali, forse con minoranze di giudici compiacenti (è una delle ipotesi al vaglio della procura di Roma), costruiscono operazioni border line sulla pelle di veri creditori. Cosi’ l’istigazione al fallimento diventa concreta, mercé l’occultamento di beni dell’attivo (come in questo caso), contro la cui assenza il creditore onesto nulla può fare per il recupero del quantum a lui dovuto.

A questo si aggiunga il riciclaggio di denaro sporco, proveniente da truffe, evasione fiscale e, perché no, dalla mafia. Quest’ultima trova varchi appetitosi nell’acquisto di beni o interi complessi aziendali in decozione, garantendo quella liquidità che manca alla procedura, facendo tutti “fessi e contenti”.

Gli ignari creditori vengono rimborsati, i professionisti compiacenti – sono tanti – ottengono laute provvigioni e, in più, i compensi previsti dalla legge e liquidati dal Tribunale. I veri professionisti ringraziano la Guardia di Finanza.

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