Bayt è una parola araba che significa “casa”. Nell’area del levante –Siria, Libano, Giordania ecc..- è usuale accostare la parola Bayt al proprio cognome quando ci si presenta. Il buon nome della famiglia, la sua reputazione è, ancora oggi, il biglietto di ingresso nella comunità locale dove si nasce e cresce.

Anthony Shadid, giornalista del New York Times, due volte Pulitzer, scomparso prematuramente in Siria all’età di 43 anni, nel suo libro La casa di pietra (da oggi in tutte le librerie per Add editore) ci lascia il testamento del suo personale viaggio alla ricerca della propria identità.

La casa di pietraShadid ci accompagna nella riscoperta delle sue radici, partendo dalla casa di un suo antenato, Isber, nel villaggio natale della famiglia Shadid, Marjayoun. Anthony ha descritto in questo volume qualcosa che molti altri scrittori, nati e cresciuti in Libano, non sono riusciti a trasmettere attraverso le loro opere e cioè il rapporto degli abitanti con la vita. Anthony ha descritto, straordinariamente, tramite le sfumature della lingua araba, il rapporto che gli abitanti di Marjayoun hanno con la vita e le sue infinite tragedie .

C’è nel testo una continua, profonda, riflessione sul significato delle parole in arabo, dovuta all’attaccamento viscerale di Shadid alla sua, come ha scritto lui stesso, seconda lingua. L’arabo è una lingua che possiede una tale quantità di parole che ha la magica capacità di dare un nome, descrivere e esprimere qualsiasi cosa.

E’ proprio per questa sua caratteristica che essa è il cardine dell’identità delle popolazioni arabofone, anche se, come si è visto nella lunga storia araba, non è bastato a tenere unite le società. Anthony, infatti, ci descrive un Libano mutato, impegnato a ricercare nel tempo l’estrema appartenenza, a dividersi in comunità regionali e poi religiose. Ma il Libano non è stato sempre così. Lo ha dimostrato Hana Shadid, cristiano ortodosso e parente di Anthony, che molti anni prima, ogni venerdì, saliva sul minareto a fare il richiamo alla preghiera per i musulmani. Solo la riscoperta di una origine comune ci salva dalle divisioni. La casa di pietra, quella di Isber, rimane per Shadid l’unica certezza, perché “Nessuno ha sofferto la sventura di restare solo. Questa gente, la mia gente, ha vissuto insieme fin dal primo momento. La comunità è tutto. La casa è tutto. Se hai perso te stesso”.

 

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