Nonostante la violenza di questi giorni, che mi lascia ovunque delle ferite; nonostante continui a immaginare la lama che affonda nella pelle fresca di due ragazze di 17 anni e di 18 anni, nonostante l’orrore e la paura per una società che non riesce a contenere la furia dell’uomo rifiutato; nonostante le notizie dei furti ai nostri danni, degli innocenti massacrati dalla camorra, dei festini da maiali, nonostante il Celeste e il Fiorito, lo schifo che affiora dalle parole dell’imprenditore Piscicelli intervistato su La Repubblica, nonostante le bombe a Beirut che lasciano per terra 8 morti, continuo imperterrita a credere nella bellezza, nella cultura, nella poesia, nella letteratura. Però abbandono il libro di Bolano, 2666, a pagina 400, perché mi ripropone la stessa angoscia e lo stesso male che dilaga sui giornali. Troppo fango intrappola il mio presente, troppo perché anche la testa ne sia continuamente a contatto.

Lo abbandono e mi immergo in Lungo la via incantata, di William Blacker. Chi me lo consigliò mi disse che era un libro pieno di cielo, di terra e di natura. Di spazio e di luce. E’ vero: un mondo si spalanca e il celeste è celeste, quella tonalità che in certe ore del giorno estivo ricordo scivolare clemente fino a me. “Felicità”, scrive la Mansfield “è come quando s’inghiotte improvvisamente uno spicchio di sole nel pomeriggio”; però oggi dalla finestra straniera di questa casa così al nord vedo alberi già quasi spogli e un cielo grigio insistentemente carico di pioggia. Sono dovuta partire e sono lontana da casa: in Lungo la via incantata cerco un po’ di quiete; quando si leggono brutte notizie è si è lontani dal proprio paese, l’angoscia, a mio parere, è doppia.

La storia di Lungo la via incantata si srotola dagli anni Novanta fino al 2009. E’ una storia vera. Dopo la caduta del Muro di Berlino, un giovane anglo-irlandese, William Blacker, parte per la Romania, vagabonda inizialmente senza sapere bene quale sia la sua meta, ma poi un giorno si ferma. Finirà per vivere in Transilvania più di dieci anni, prima presso un popolo di contadini discendenti dei Sassoni poi nella zona del Maramures in casa del vecchio Mihail; qui “Uigliam l’inglese”, come lo chiamano i compaesani, impara a lavorare la terra e ad allevare animali; qui impara ad affilare la sua falce e a rispettare i ritmi di quella vita antica. Ma la sua sete non si placa e si infila a testa bassa nella vita degli zingari stanziali di Halma, con cui divide battaglie, danze e bevute. E testardamente si impegna, rischiando l’espulsione dalla Romania, a sradicare atavici pregiudizi.

Attenzione: non è il mito del buon selvaggio di roussoniana memoria. E’ una testimonianza, non una scelta ideologica. Guardate bene la copertina con la fotografia di una bellissima ragazza zingara; è Natalia, di cui William si innamora al primo incontro anche se finirà per accompagnarsi all’altrettanto bellissima zingara Marishka, di Natalia sorella.

Un brivido mi assale quando leggo qualcosa di originale, di nuovo, di intelligente. Immediatamente dopo mi viene un’ansia di capire a fondo quello che ho letto e di trasformarlo in materia viva. Nel caso di Lungo la via incantata, si tratta di non perdere la strada: da qualche parte ci sarà sempre qualcuno capace di riportarci vicini “al cuore selvaggio della vita” (come scrive Joyce in Ritratto dell’artista da giovane), da dove è possibile ripartire e ricominciare a sperare nel genere umano. Là fuori ora quel grigio non mi sembra più così eterno e la mia casa non così lontana.

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