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I cinquant’anni di 007. James Bond è troppo cool

I cinquant’anni di 007. James Bond è troppo cool
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Il prossimo Skyfall, in uscita il 31 ottobre, sarà uno 007 memorabile anche al di là della sua riuscita in termini artistici. Oltre ad essere l’episodio del cinquantenario –  Agente 007-Licenza di uccidere fu presentato in Inghilterra il 5 ottobre 1962 –, porta la firma di Sam Mendes, contravvenendo alla legge non scritta della produzione che ha sempre scritturato registi (quasi) sempre validi ma dalla cifra stilistica mai troppo definita. Mentre il sogno di Quentin Tarantino di dirigere una delle avventure di James Bond è destinato a rimanere tale per eccesso di personalità, l’uomo dietro a American Beauty assicura quel quantum di autorialità in più inaugurata con l’era del tormentato Daniel Craig
 
Icona che può fregiarsi dell’interessamento di Umberto Eco e Oreste Del Buono (Il caso Bond, Garzanti, 1966), l’agente segreto al servizio segreto di Sua Maestà rimane una silhouette dentro alla canna di una Walter PPK (nei romanzi era una Beretta 25) qualche minuto prima dei sempre stilosi titoli di testa: irresistibile playboy e abile conversatore, ha una capacità di tenersi lontano dalle mode che, ai fini della definizione del personaggio, conta come la proverbiale licenza di uccidere. Proprio quello stile inconfondibile che – secondo i puristi – sarebbe messo in crisi dalla supposta ordinarietà di Craig è stato recentemente celebrato da Designing 007: Fifty Years of Bond Style, al Balaban Centre di Londra, in cui era in mostra un mondo fatto di fascino e ricercatezza tra completi di Giorgio Armani o Tom Ford e automobili da sogno come l’indimenticabile Aston Martin DB5 o la BMW Z8. Perché, tra gadget da riconsegnare a fine missione, donne-amanti in coppie di raro e un po’ ripetitivo maschilismo (una muore all’inizio mentre l’altra è quella giusta per il finale ad effetto), fissazioni alcoliche e giri per un mondo-mappa appannaggio di criminali monomaniaci, passa la storia di cinquant’anni di costume.
 
Da Sean Connery a Roger Moore, da Timothy Dalton a Pierce Brosnan, a variare sono solo piccole quantità di ironia o di sex-appeal sulla base di un modello di eroe saldamente legato all’umano o, ancora meglio, ad una certa idea di maschio. Dopotutto, secondo lo scrittore Ian Fleming, il lettore tipo delle sue fortunate avventure romanzesche corrispondeva ad un tipo ben preciso, eterosessuale, avvezzo al divertimento e pronto a lasciarsi imbrigliare in storie poco probabili, ma mai impossibili; un antidoto alla normalità e alla routine insomma, in primo luogo per lo stesso Fleming che scriveva per aggirare la noia della vita matrimoniale.

Con qualche muscolo di troppo e per nulla snob come vorrebbe la tradizione, Daniel Craig ha dato indiscutibilmente nuovo lustro al franchise, giocando sullo stesso territorio degli action più riusciti del decennio (saga di Bournesu tutti), con il pernicioso dubbio di essere sceso troppo a patti con la contemporaneità. Pare strano a dirsi per una serie che sullo stile si fonda, ma 007 rischia di essere troppo alla moda.





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