Rimasto dentro un cassetto per troppi anni, quasi dieci, “Il re del mosto” è un documentario dedicato a un uomo e al suo mondo, al minuscolo paese di Rocchetta Tanaro (nell’astigiano, neppure 1500 abitanti) e ai personaggi che lo popolano. Il protagonista è Giacomo Bologna, colui «che ha reinventato la Barbera», per dirla con una sintesi e con le parole di Giulia Graglia – torinese, 37 anni, una laurea in Storia del Cinema, un master in Regia Cinematografica e una grande passione per l’enogastronomia – la giovane regista che ha messo la firma sulla pellicola. «Il vino è soltanto una delle cose che Giacomo ha fatto. Era goliardico, dalla presenza quasi ingombrante (pare che pesasse fra i 130 e i 150 chili), voglioso di godersi il giorno e la notte», aggiunge.

La prima versione del film risale al 2003. Cosa è cambiato da allora?

“Il re del mosto” adesso ha una nuova veste. È stato rieditato e rimontato. L’ho scritto con Matteo Codrino e con lui l’ho presentato, nel 2005, alla “Anteprima Spazio Torino” del Torino Film Festival. Poi per diverse questioni è calato il silenzio, fino all’anno scorso, quando con il mio compagno Marco Fiumara abbiamo deciso di rimetterci le mani: accorciandolo di cinque minuti (adesso ne dura 45), rimusicandolo e arricchendolo con mixaggio e montaggio professionali.

Avevate un intento preciso?

Quello di rendere il prodotto vendibile, di qualità. Un riconoscimento è già arrivato: al Festival di cinema rurale “Corto e Fieno”, sul lago d’Orta, abbiamo vinto il primo premio. Come già successo per “Senza Trucco” (documentario uscito nel 2011 che racconta quattro donne produttrici di vino biologico, ndr) non abbiamo avuto finanziamenti, ce lo siamo prodotto di tasca nostra. Anche in questo caso abbiamo aperto un blog dove abbiamo lanciato una campagna di preacquisto di dvd. Per entrambi i film questo ci ha permesso di finire la lavorazione. “Senza Trucco” dopo un anno e mezzo continua a vendere, siamo alla terza ristampa da 500 copie, per noi un’enorme soddisfazione.

Da cosa è nato “Il re del mosto”?

È stato l’impatto con Giacomo Bologna a cambiarmi del tutto: conoscerlo mi ha fatto decidere che l’enogastronomia non poteva non far parte della mia vita. Da qui, l’idea del documentario, per conciliare le mie due passioni, cinema ed enogastronomia.

Un personaggio che quantomeno desta curiosità…

Era circondato da molti amici, diversi fra loro per il lavoro o la classe sociale. E con loro era riuscito a fare di Rocchetta Tanaro una sorta di centro del mondo per gli amanti del vino e del cibo. Abbiamo raccolto le interviste a più di dieci anni dalla sua scomparsa (è morto il giorno di Natale del 1990) e la nostalgia della gente era ancora palpabile.

Chi erano i suoi amici?

Nel film ci sono le testimonianze di alcuni di loro che non oggi ci sono più: Bruno Lauzi, Luigi Veronelli, la vedova Anna Bologna, il sassofonista jazz Gianni Basso. Accanto ai nomi noti, ce ne sono tanti altri, antitetici alcuni: ci è capitato di andare a trovare i suoi amici contadini, che ci hanno offerto le uova cotte nel fondo della bagna cauda, e poi di incontrare Maurizio Zanella, proprietario dell’azienda Ca’ del Bosco, nel cuore della Franciacorta.

Qual è il momento che la riconduce al suo legame personale con il film?

Il merito del documentario credo sia quello di aver ricreato quell’atmosfera delle notti passate a bere e mangiare, a suonare con i più grandi jazzisti e a cantare in compagnia. Non dimentico qualcosa che è stata detta tra il pubblico di “Corto e Fieno”: «Giacomo Bologna manca anche a noi che non l’abbiamo conosciuto».

“Senza Trucco” e “Il re del mosto”: incentrati sul vino, anche se in maniera diversa. Hanno qualcosa in comune?

“Senza Trucco” è più vicino alla mia idea di vita: il rispetto del territorio, la salvaguardia delle tradizioni, l’amore per la natura. Il modo di fare vino delle protagoniste è per me lo specchio della volontà di rimanere attaccati a ciò che la massificazione vorrebbe eliminare, schierandosi a favore di qualcosa di sano e genuino. “Il re del mosto” cronologicamente è ben distante dai dei vini naturali: Giacomo Bologna è scomparso nel 1990, allora si usavano prodotti chimici sia in vigna che in cantina. Ma sono certa – e lo confermano le tante persone che ho intervistato – che se fosse stato ancora vivo avrebbe già abbandonato la chimica per dare maggiore risalto alla passione per il territorio, per i vecchi (nel senso nobile di “saggi”) e per i doni che il vitigno della Barbera sa regalare. Ha passato la vita a fare di tutto per nobilitare un vino che era ritenuto da poco. E oggi il Bricco dell’Uccellone, per citarne solo uno, è venduto nei più importanti ristoranti del mondo. La rinascita del vino piemontese la si deve a lui.

di Irene Privitera

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