“Non chiamateci più operai, siamo soldati”. All’Ilva di Taranto ormai è una guerra. Dopo il parere negativo di custodi, tenici e procura al piano di 400 milioni di euro presentato dall’azienda per compiere i primi e più immediati interventi per l’ambientalizzazione e in cambio di un minimo di produzione, la rabbia degli operai è esplosa. Si sono radunati all’ingresso della Direzione lamentando di non sapere nulla sul futuro del loro posto di loro. Hanno inizialmente tentato di occupare la statale 100, scegliendo poi di riunirsi in assemblea davanti ai cancelli della direzione. “I capi stanno istigando alla rivolta contro la magistratura e i sindacati stanno dicendo cosa fare” ha dichiarato il segretario provinciale della Fiom Cgil di Taranto, Donato Stefanelli che ha aggiunto che l’azienda “deve smetterla con il gioco d’azzardo che sta facendo, con questa guerriglia giudiziaria che non ci interessa, e deve cacciare fuori i soldi per fare un vero piano di risanamento”.

Parole che hanno innescato l’immediata reazione di Bruno Ferrante che attraverso un comunicato ha preso la più assoluta distanza dalle parole del segretario della Fiom. Per Ferrante si tratta di “accuse irricevibili e infondate” che lo avrebbero “sorpreso” visto l’utilizzo “di parole così gravi data la delicatezza della situazione che stiamo vivendo”. Eppure all’interno dello stabilimento qualcuno mormora di un guerra intestina proprio ai vertici dello stabilimento: capi e capetti vorrebbero dialogare direttamente con la proprietà scavalcando Bruno Ferrante.

Intanto sul tavolo del giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco è giunta la richiesta di scarcerazione di Emilio e Nicola Riva, rispettivamente ex patron del Gruppo Riva ed ex presidente del cda Ilva, e di Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento. Secondo i difensori dei tre indagati non ci sarebbero più le esigenze cautelari che portarono al loro arresto lo scorso 26 luglio. In quella occasione il gip Todisco motivò i domiciliari per i tre e per altri cinque dirigenti della fabbrica, spiegando principalmente che esisteva un concreto e attuale rischio di inquinamento probatorio facendo riferimento alla vicenda della presunta tangente avvenuta tra Girolamo Archinà e Lorenzo Liberti per ammorbidire una perizia commissionata dalla procura nei confronti dell’Ilva. Un pericolo confermato anche dal tribunale del riesame confermò i domiciliari ai tre e annullò invece l’ordinanza contro i cinque dirigenti rimettendoli in libertà.

Ma oltre a queste tre richieste il gip Todisco dovrà anche valutare la richiesta di autorizzazione dell’azienda a ottenere una minima capacità produttiva per eseguire gli interventi elecati nel piano presentato venerdì scorso. Il documento giunto al vaglio del giudice ha già incassato il parere negativo dei custodi tecnici Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento oltre a quello del pool di inquirenti compoesto dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile. Un secco no a un piano che non sarebbe esaustivo a far cessare l’attività criminosa in corso in seguito alle emissioni inquinanti dello stabilimento. Facendo proprio il parere dei custodi, la procura ha infatti bocciato il piano e precisato che diversi interventi erano già previsti nei protocolli di intesa stipulati dall’Ilva con le istituzioni locali negli anni scorsi e mai realizzati. Gli stessi protocolli di intesa chei prima i Pm nella richiesta di arresto e poi il Gip nella sua ordinanza di custodia cautelare per i vertici aziendali, descrivono come “la più grossolana presa in giro compiuta dai vertici Ilva attraverso i primi atti di intesa sottoscritti dall’attuale gruppo dirigente. Si tratta,- si legge nel documento – tra i più recenti, di ben quattro atti di intesa sottoscritti da Ilva volti a migliorare le prestazioni ambientali del siderurgico. Il primo in data 8.01.2003, il secondo in data 27.02.2004, il terzo in data 15.12.2004 e il quarto in data 23.10.2006. Basta leggere l’ultimo per rendersi conto della colossale presa in giro di cui sopra”.

Proprio nell’ultimo atto, infatti, “si riportano ancora gli stessi impegni assunti da Ilva con i precedenti atti di intesa che ovviamente non erano stati adeguatamente assolti”. Insomma interventi che sarebbero già stati annunciati e mai realizzati nonostante il tempo trascorso. Protocolli di intesa su cui nessuno ha vigilato nemmeno Comune e Provincia di Taranto che per firmare quell’accordo ritirarono la costituzione di parte civile alla viglia della definitiva sentenza di condanna dell’Ilva.

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