Quando Lapo morì nel grembo materno un giorno prima della presunta data di nascita, la faccenda fu liquidata come una disgrazia e i suoi genitori lasciarono l’ospedale senza un minimo di supporto psicologico e senza nessuna informazione sull’accaduto. Claudia Ravaldi, mamma di Lapo, già psicoterapeuta alla seconda gravidanza, decise allora insieme al marito che nessun altro genitore sarebbe stato trattato in quel modo dopo un fatto di tale gravità. Quattro settimane dopo aveva fondato l’associazione “Ciao Lapo onlus”. Era il 2006.

“In Italia sono più di 2000 i bimbi che muoiono ogni anno a termine gravidanza e più di mille quelli che muoiono subito dopo il parto – ci dice Claudia – Significa che ogni giorno circa nove famiglie sono devastate dalla perdita di un figlio atteso. Perché allora non fornire almeno semplici informazioni che servono per abituarti all’idea?”. Claudia aveva avuto una gravidanza fisiologica e serena e non si sarebbe mai aspettata un esito del genere. Il massimo che si sentiva rispondere dagli operatori sanitari alle mille domande sul futuro era “succede. Farai un altro figlio”. Soltanto internet e il fatto che sia Claudia che il marito conoscessero bene l’inglese li salvò dalla confusione psicologica e dal “buco in cui erano sprofondati”.

Il gruppo della onlus "Ciao Lapo"

“Abbiamo iniziato a informarci in rete e ci siamo resi conto – ricorda Claudia – che l’Italia era l’unico paese occidentale a non aver adottato una procedura specifica, una prassi o un semplice vademecum post lutto prenatale e perinatale”. Perché secondo gli esperti questo tipo di lutto, se non è affrontato ed elaborato adeguatamente può spalmarsi su tutta la vita, sugli altri figli, sul quotidiano vivere. “Nel 2006 il concetto di lutto perinatale non esisteva nel vocabolario assistenziale degli operatori italiani – dice ancora Claudia – La maggior parte delle persone pensano che sia un lutto quasi inesistente, o almeno che si esaurisca in breve tempo. Certo è possibile. Ma in alcuni casi non succede”. Per Claudia l’invisibilità di questo argomento sia a livello mediatico che istituzionale è la dimostrazione che in Italia il lutto di un figlio attesoè un tabù. La dottoressa lo definisce “una zona d’ombra in cui si preferisce non entrare, un evento per cui sembrano mancare le parole e i gesti di condivisione sociale: un argomento riservato a pochi esperti del settore, cui si demandano sia lo studio, che la cura delle persone in lutto”.

La onlus “Ciao Lapo” cerca di colmare questo vuoto lavorando a 360 gradi: sul sito vengono raccolte numerose testimonianze di lutto prenatale e perinatale che alimentano il confronto e la riflessione. L’associazione organizza convegni internazionali e pubblica articoli. Tra questi un vademecum con 20 passi necessari all’assistenza al lutto in gravidanza o dopo il parto rivolto agli operatori e agli stessi genitori.

“E’ la prima esperienza del genere in Italia ma ultimamente per fortuna si sono costituiti spontaneamente diversi forum on line con lo stesso obiettivo”. Evidentemente è un problema sempre più sentito dai genitori ma si tratta anche di un argomento su cui l’intera comunità scientifica sta puntando i riflettori. La rivista Lancet ha pubblicato nel 2011 un approfondito studio sulla morte in utero nel mondo (The Lancet’s Stillbirths Series). Tra i 2,6 milioni di morti in utero che avvengono ogni anno nel terzo trimestre di gravidanza, di cui 1,2 milioni durante il parto, il 98% dei casi avvengono nei paesi poveri e in via di sviluppo. Nei paesi più ricchi del mondo, i tassi di morte in utero sono crollati intorno al 1940 ma questo declino si è addirittura fermato negli ultimi venti anni. Il vero dato inquietante che emerge da questo studio però è che molte di queste morti sono legate a condizioni evitabili, dovute alla qualità della cura offerta o a fattori legati allo stile di vita. Dunque morti che con l’adeguata informazione potrebbero essere evitate.

Articolo Precedente

Nuove frontiere della medicina anti-age: tornare giovani con il proprio sangue

next
Articolo Successivo

“Il cervello della donna? Diverso”, ma non è vero. Colpa del neurosessismo

next