Non solo Bolt. Tra le gare in calendario per la giornata di oggi ci sono anche le semifinali del torneo di hockey maschile. Nella griglia delle “magnifiche quattro” che si giocheranno il titolo c’è la Gran Bretagna (per la prima volta dal 1988) e non la Spagna (argento a Pechino). Una grossa sorpresa. Ma la notizia è un’altra: il finale a dir poco convulso dello spareggio fra le due squadre nel girone preliminare.

Manca un minuto alla fine, il punteggio è inchiodato sull’1-1 e qualificherebbe la Gran Bretagna. La Spagna può solo vincere, si riversa in avanti e ottiene un decisivo penalty corner (quasi un rigore). Anzi no: perché i padroni di casa (e il pubblico…) protestano furiosamente, e l’arbitro ci ripensa. Niente più “rigore”, si riprende a giocare. E sia, c’è ancora qualche secondo sul cronometro. Venti, per la precisione, quando l’arbitro fischia un altro penalty corner per la Spagna. E il teatrino si ripete: stesse proteste, stessa marcia indietro del direttore di gara. Finisce 1-1 nel tripudio della Riverbank Arena, ma stavolta è davvero troppo.

Fosse successo nel calcio se ne sarebbe parlato per decenni: altro che il gol di Muntari o il rigore di Iuliano su Ronaldo. Ma anche nell’hockey su prato, sport decisamente meno mediatico, l’episodio ha destato non poco scalpore. Gli spagnoli sono diventati davvero delle “furie rosse”. A fine gara rissa sfiorata, con l’arbitro accerchiato in mezzo al campo mentre tentava di guadagnare gli spogliatoi il più velocemente possibile.

E nel post-partita sono volate parole pesanti. Con il capitano Ramòn Alegre troppo arrabbiato che ha preferito disertare la conferenza stampa, ci ha pensato l’allenatore Dani Martin a far capire quale fosse l’umore in casa spagnola: “Siamo in un torneo dove ci sono delle squadre che ricevono dei chiari favori, è sotto gli occhi di tutti. Come è possibile che un arbitro cambi due volte in pochi secondi le proprie decisioni a causa delle proteste?”. Così è scoppiato un vero e proprio caso internazionale: i dirigenti spagnoli hanno chiesto ufficialmente all’International Hockey Federation (FIH) l’apertura di un’indagine sull’operato dell’arbitro. Ma questo non servirà a restituirgli la chance di giocarsi una medaglia oggi pomeriggio.

L’allenatore inglese, invece, ha provato a minimizzare: “Nell’hockey ci sono molte situazioni al limite in cui è difficile decidere, non facciamone una questione di vita o di morte”. Forse a parti inverse non avrebbe parlato così. Ma probabilmente a parti inverse non sarebbe mai potuto accadere nulla di tutto ciò. L’episodio, infatti, rischia di lasciare un’ombra sul torneo di hockey, che ha perso una delle sue favorite. Ma soprattutto riapre una ferita vecchia quanto le Olimpiadi: la parzialità di arbitri e giudici nei confronti dei padroni di casa. Non è un mistero che esista da sempre un occhio di riguardo per le nazionali dei Paesi ospitanti, che puntualmente alla fine dei Giochi si ritrovano in cascina qualche medaglia in più del dovuto.

L’Italia ne sa qualcosa: basti pensare alla delusione delle ragazze della ginnastica artistica quattro anni fa a Pechino, quarte perché sul podio bisognava fare spazio alle cinesi; o ad Atene 2004, quando Jury Chechi chiuse la sua formidabile carriera “solo” con il bronzo, con l’oro finito al collo del greco Tampakos (autore di una performance non irresistibile). Per non parlare dello scandalo di Seul 1988, rimasto nella storia per l’abbraccio in lacrime tra Mario Pescante (allora capo missione della squadra italiana) e il nostro pugile Nardiello, dopo il verdetto che lo scippò della finale in favore del coreano Park, poi contestatissimo oro. E la storia si ripete. Oggi a Londra piange la Spagna. 

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