Rolling Stones (foto La Presse)È la notte del 12 luglio 1962, quando una band presentata come l’alternativa “sporca e cattiva” ai Beatles, con una musica che attinge alle radici del blues e del rock’n’roll, si esibisce per la prima volta in pubblico al Marquee Club in Oxford Street, dove risiede il principale polo di intrattenimento della Swinging London. Sono gli anni in cui il mito della scena londinese prende forma, tra l’isteria collettiva verso band e musicisti border line, fiumi di alcol, l’Lsd, i fumi di marijuana, la moda di Mary Quant e Carnaby Street e le librerie alternative.

Nonostante la loro bravura e la forza propulsiva della British Invasion che tenda a catapultarli fuori dall’underground rock londinese, i Rollin’ Stones – è così che, inizialmente, si chiama la band che sta per esibirsi – hanno la loro occasione in modo fortuito: la Blues Incorporated, band del chitarrista Alexis Korner, quella sera dà forfait perché impegnata in una registrazione alla radio e così Harold Pendleton, il gestore del Marquee, disperato, accetta, su consiglio di Korner, di far salire sul palco quei sei fan accaniti degli Incorporated. 

I componenti della  giovane “cover-band” sono molto diversi tra loro, per provenienza ed estrazione sociale: il cantante, Mick, inizialmente sembra timido: si guarda intorno da dietro il suo microfono. Prende fiato, mentre l’aria densa, unita al caldo e al sudore del pubblico, si dirige verso di lui. Il chitarrista Keith, accampato sulla destra, accorda la sua chitarra mentre sorseggia una birra e regola il volume dell’amplificatore. Brian, il chitarrista solista, è seduto su una cassa mentre aspira tutto d’un fiato una sigaretta. È soprattutto grazie a lui se questi giovani fanatici del blues riescono a convogliare lo spirito di eroi come Muddy Waters e Howlin’ Wolf. Conosce tutti i loro fraseggi a memoria e mentre fuma è a loro che pensa. Così come Dick, il bassista. Nel frattempo Mick, il batterista, mentre sistema il suo rullante inveisce contro il pianista scozzese Ian. Si litigano quel poco spazio a loro disposizione: col suo sgabello Ian se ne sta quasi attaccato alla batteria e questo manda Mick su tutte le furie. 

“Yeah! Uno, due. Yeah!”. Lo spettacolo ha inizio. Non lo sa ancora, Michael Philip detto “Mick”, che quella sera, con quell’“uno, due. Yeah!” ha acceso la miccia che fa esplodere la carriera di  una delle più grandi rock band della storia. Sul palco sfoggiano tutto il loro talento, seppur eseguano cover.  Raggiungono un affiatamento tale che fa esclamare a chiunque li ascolti che diventeranno delle rockstar.  Ma saranno soltanto due dei sei che da quel palco non scenderanno mai più. Mick Jagger e Keith Richards, i “Glimmer Twins”, i gemelli scintillanti. 

L’aura sexy e trasandata attira flotte di ragazze pronte a tutto, estimatori del rock’n’roll stravedono per loro, dal 1965 con Satisfaction che balza immediatamente al vertice delle classifiche, le hit si succedono una dopo l’altra. Piovono le ovazioni nei loro confronti, ma i “bad boys”, si sa, attirano anche lo sguardo severo dell’establishment, che proprio non manda giù quel loro modo di apparire. Emblematico al riguardo è il titolo a tutta pagina di un noto magazine londinese: “Permettereste a vostra figlia di sposare un Rolling Stone?”. Il loro marchio ufficiale stampato sui dischi, sulle magliette, sui poster e sulle spille è una linguaccia rossa come il diavolo – del resto è nota la loro antica simpatia per il demonio – che rivolta verso il mondo lo sbeffeggia. Se a questo si aggiungono episodi di arresti per detenzione di sostanze stupefacenti, si comprende il perché di tanto odio da parte dei media dell’epoca. Agli inizi degli anni Settanta  e con l’uscita dell’album “Exile On Main Street”, che diventa una pietra miliare del rock, raggiungono l’apice del successo, nonostante continuino a inanellare successi fino agli anni Ottanta, quando diventano persino i primi a usufruire di una sponsorizzazione aziendale, in occasione del loro tour mondiale del 1981. Per i vecchi fan il periodo della gloria è terminato già da un pezzo, e i dischi registrati in fretta e furia negli anni Ottanta e Novanta sono solo un modo per racimolare danaro. L’importante è che la loro influenza su giovani band abbia fatto presa e che, soprattutto, il loro Dna sia saldamente impiantato nel genoma del rock. 

Il 12 luglio 2012, i Rolling Stones festeggiano i 50 anni di carriera. Un bel traguardo considerando la loro storia lastricata di scandali, pettegolezzi, misteri, sangue, morti violente, divorzi e adulteri, figli illegittimi e droghe. E tutto sommato, considerati gli eventi loro capitati, è lecito domandarsi come sia stato possibile che gli Stones siano riusciti a sopravvivere – Keith Richards addirittura è diventato cavia da laboratorio – anche musicalmente. In una società in cui tutto è in vendita e dove, dai pannolini ai gruppi rock, tutto viene utilizzato e in breve tempo gettato via, loro sfoggiano ancora quella linguaccia rosso fuoco che sta lì a sbeffeggiare chiunque guardi loro con occhio maligno e di disprezzo. Auguri Rolling Stones e sempre Vive le Rock!  

(Foto La Presse)

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