Bologna sarà psichedelica. Almeno per una serata, quella del 19 giugno, quando saliranno sul palco del Bolognetti on the rocks i Brian Jonestown Massacre. Un appuntamento da non mancare: sarà la loro unica data in Italia. 

Il gruppo cult della scena neopsichedelica, guidato da Anton Newcombe e formatosi a San Francisco all’inizio degli anni Novanta, proporrà al pubblico bolognese il suo quattordicesimo disco, Aufheben, uscito per l’etichetta indipendente A records il 7 maggio 2012.

Aufheben segue Who Killed Sgt. Pepper? (gennaio 2010), penultimo album della band. E se il riferimento al disco più lisergico dei Beatles richiama un preciso retroterra musicale, la scelta di un titolo in tedesco per l’ultimo lavoro dice qualcosa della storia attuale dei BJM.

Dopo che decine di musicisti sono transitati dal gruppo, oggi la formazione è composta da 4 elementi: oltre al guru Anton Newcombe ci sono Dean Taylor alla chitarra, Matt Hollywood al basso e l’organista Mara Regal. Si sono trovati a Berlino, i quattro, per dare forma al loro nuovo sound, intriso di psichedelia e ritmiche folk rock.

Newcombe si è trasferito all’ombra della Brandenburger tor nel 2007 e dalle session berlinesi è nato l’ultimo disco, il cui titolo “aufheben” (un verbo in tedesco) ha una valenza plurisemantica. Il filosofo Hegel lo usava per spiegare il processo dialettico di tesi-antitesi e significa elevare, custodire, ma anche sciogliere, sopprimere, distruggere. Per un album è un titolo ambizioso, che unisce dichiarazione di poetica e di intenti, nello sforzo di cercare una sintesi fra gli opposti, stemperando la malinconia nella durezza dei suoni più acidi e fondendo i canoni stilistici del rock con la spinta creativa, sperimentale, dei Brian Jonestown Massacre.

Il nome stesso della band è un gioco di sintesi che, nel perfetto stile ipercitazionista di Newcombe, mette assieme il chitarrista dei Rolling Stones, scomparso alla fine degli anni ’60, con il suicidio di massa avvenuto nel 1978, a Jonestown in Guyana, nella comunità spirituale del guru americano Jim Jones.

Costruire e distruggere per rinnovarsi. Bruciare e rinascere. I BJM, arabe fenici del rock, camaleonti della scena indipendente vengono in Italia con un nuovo album, nel quale si sentono impastate le esperienze di Newcombe e dei suoi musicisti. I viaggi in Oriente del leader apportano al disco quel suono esoticheggiante da psichedelia bhangra che, a tratti, ha la meglio sulla matrice rock; il soggiorno europeo dà i suoi frutti aprendo al gruppo le porte di una koinè musicale ibridata e viva.

Per dare un’idea della potenza suggestiva dell’album, Newcombe lo ha definito “simile alla colonna sonora di un film epico”. E non è difficile ravvisare un andamento cinematico nell’ascolto delle 11 tracce di Aufheben che spaziano dalle sonorità Sixties all’acid folk, a melodie pervase dal suono del sitar, senza tralasciare certi passaggi più distintamente pop. Oltre a essere un album Aufheben è un viaggio nel caleidoscopico universo della band.

E il miracolo è che tutto tiene, sembra non esservi nulla di troppo. La scommessa del melting pot sonoro funziona. D’altronde i BJM vengono dalla west coast americana, una terra che ha saputo far sua la british invasion, già al tempo in cui Londra era la swinging London e dettava legge in termini di influenze musicali e stile. A calcare le scene allora c’erano tra gli altri Rolling Stone e Kinks, gruppi che certamente sono entrati  nell’immaginario sonoro di Newcombe, ma passati al vaglio della tradizione folk-rock a stelle e strisce. Le sonorità britanniche dei Sessanta sono state filtrate, a Los Angeles e a ‘Frisco’, dal revival rock psichedelico del movimento Paisley Underground, un genere di rock alternativo sviluppatosi tra gli anni Ottanta e Novanta.

Dietro a una canzone dei Brian Jonestown Massacre c’è tutto questo, eppure non sono diventati una band per il grande pubblico. O meglio sarebbe dire, proprio per questa ragione non lo sono potuti essere. Il loro stile è troppo difficile da incanalare, troppo incline alla ricerca e all’evoluzione, nonostante alcuni critici abbiano speso i nomi dei sottogeneri madcester e shoegaze. I BJM sono sempre altro, perché Newcombe alle luci della ribalta preferisce una più modesta penombra.

Buona parte della discografia dei Brian Jonestown Massacre è reperibile gratuitamente in internet, a segnalare un voluto distacco del gruppo dalle politiche distributive delle major discografiche.

Anton Newcombe, complice anche il film documentario Dig, che ha vinto il Sundance festival nel 2004, è stato definito un perdente (loser), un tossico destinato a finire male come altri grandi del rock, ma il frontman dei BJM, cappellaio matto della psichedelia, ha ancora tanti suoni da estrarre dal suo cilindro. Aufheben ne è la prova.

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