L’artista che oggi andiamo a conoscere è IL CILE, nome d’arte di Lorenzo Cilembrini, giovane cantautore aretino che incontro in occasione di un suo concerto a Roma. Si presenta assieme alla sua band visibilmente emozionato e non lo nasconde, il talento c’è e si sente. Unito a una grande passione. Il pubblico l’incoraggia sin da subito e poi, quando la band esegue il brano che ha anticipato l’uscita dell’album – e con il quale è riuscita a catturare l’attenzione mediatica fino a ottenere un contratto importante con la Universal – “Cemento Armato”, la folla va  in visibilio. Una canzone che è un affresco di una generazione in balìa di se stessa che ha tanta sete di rivincita e voglia di stabilità. E quando canta “Anche questa è vita, un lavoro che non sopporti ma che devi fare, perché senza uno stipendio sei un difetto sociale perché crepi per consumare e consumi crepando” e gli occhi del Cile incrociano quelli dei tanti giovani che ha di fronte, questi sembrano fargli un cenno e dirgli sì, ha descritto alla perfezione la loro esistenza. 

È una bella storia la sua: IL CILE è uno dei pochi che sono riusciti a emergere lontani dalle tv, senza comparsate nei Festival né partecipazioni ai talent show, seguendo il tradizionale percorso discografico. Suonando in svariati posti, faticando parecchio e facendosi notare da occhi esperti come quelli di Fabrizio Barbacci (già producer dei Negrita e Ligabue) con un’unica strategia perseguita, che è quella che prevede un grosso impegno, lavorando al progetto nel migliore dei modi, cercando di dare luce alla sua espressività al 100 per cento, sia nei testi e nelle musiche sia negli arrangiamenti. Il disco d’esordio si intitolerà Siamo morti a vent’anniperché – ci racconta – per come la sento io si muore tutti a vent’anni, a volte nei sentimenti, altre nei sogni, altre ancora negli ideali; ma è parte di quella metamorfosi che ci trasforma da adolescenti in adulti,e ci fa spesso rinascere dalle nostre ceneri”. Abbiamo intervistato il giovane cantautore che in luglio, tra l’altro, sarà tra i protagonisti dell’Heineken Jammin’ Festival.

Lorenzo mi parleresti di te e del tuo background artistico?
Ho studiato chitarra da autodidatta fin dall’adolescenza e devo dire che ciò che mi ha insegnato più di qualunque metodo è stato imparare per filo e per segno tutto lo spartito tablato di Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins, vengo dal punk quindi ho sempre avuto un’attitudine do it yourself, per il canto ho cominciato lo studio che ero già maggiorenne, per qualche anno presso un tenore che mi ha insegnato ad arrivare a fine concerto con la voce integra. Il mio disco d’esordio si intitola Siamo morti a vent’anni, da toscano d.o.c. non nascondo una certa goliardia e satira dissacrante nell’accezione di questa frase.

Essere musicista oggi: i pro e contro secondo te.
Il pro è sempre il solito (almeno per me) l’eccitazione, l’adrenalina e la gratificazione che si provano portando i propri brani su un palco davanti a un pubblico. Solo con la musica riesco a sentirle così intensamente. I contro sono che mai come adesso non esiste stabilità e certezza in questo mestiere, che può essere anche un bene dato che si è spinti a migliorarsi e ad affermarsi continuamente, ma in termini di ansie e angosce si paga un conto alquanto salato.

Quali sono le tue ambizioni?
La mia ambizione è riuscire a vivere facendo questo mestiere, o meglio, facendo quello in cui credo di riuscire maggiormente nella mia vita: scrivere canzoni.

Cos’è che ti ispira maggiormente nello scrivere le canzoni?
Parto sempre dai continui moti interiori (spesso violenti e tormentati) che vivo, quindi lo spunto è quasi sempre autobiografico. Il tema portante del mio disco d’esordio è il senso di disorientamento, di fragilità e precarietà che vive la mia generazione da anni a questa parte nei sentimenti, nell’incastrarsi in posizioni sociali, nei rapporti umani. Cemento armato non è altro che l’anello portante di una catena di canzoni che riconducono all’atmosfera di quel brano sebbene con immagini, spunti e contesti lirici differenti.

Quali sono i dischi che ti hanno influenzato maggiormente e quale disco ritieni che non si può non ascoltare?
Album a me davvero cari sono oltre al già citato Mellon Collie… degli Smashing Pumpkins, La Voce del Padrone di Battiato, Volume 8 di De André e tanti altri, davvero troppi da citare… un album che non si può non ascoltare (specialmente per chi come me è nato negli anni 80) è Nevermind dei Nirvana.

Qual è il supporto che preferisci quando ascolti la musica? E qual è la motivazione che ti porta a scegliere l’uno rispetto agli altri formati?
Sono legato al cd perché ho troppi bei ricordi connessi a questo formato, mi ricordo che quando facevo il liceo andando a casa di un amico o di un’amica, dalla collezione dei suoi cd capivi la sua personalità, la sua attitudine e in un certo senso le sue idee. Con una libreria iTunes tutto diventa più asettico. Ma il progresso non si può fermare.

Qual è il concerto più bello a cui hai assistito?
Uno che ritengo a modo suo epocale è quello degli Strokes cui assistetti a Roma nel 2003. Da quel live si capiva che una nuova ondata di rock stava per riversarsi nelle cuffie dei ragazzi e delle ragazze negli anni Zero.

Come vedi il panorama musicale italiano e cosa consiglieresti a un discografico?
Credo che l’avvento della Rete abbia rivoluzionato completamente il modus operandi nel fare musica, nel promuoverla, venderla etc. etc. Io credo che il futuro della discografia sarà quello di portare avanti progetti in cui si crede davvero totalmente, che si amano e per i quali si è disposti a lottare e rischiare. Io da questo punto di vista mi ritengo fortunato avendo trovato persone al cento per cento sulla mia lunghezza d’onda sia nel mio management sia in Universal e per questo li ringrazio di cuore.

 

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