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‘Molto forte, incredibilmente vicino’. La Storia diventa storia

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Ho letto il libro un paio di anni fa. Attratta dalla copertina rossa e dal piacere provato leggendo il primo romanzo di Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata. Mi sono commossa, ho sorriso e riso, mi sono emozionata, ho provato una tenerezza quasi concreta, da toccare con mano. Perché Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud & Incredibly Close, il titolo originale) è un romanzo scritto in stato di grazia, dolce, leggero, compiuto. Capace di mettere insieme il senso grande dei sentimenti collettivi con le piccole cose di ogni giorno. Di unire dramma e leggerezza, la Storia con la lettera grande e le storie piccoline e individuali. Leggendolo si guarda davvero il mondo con gli occhi del protagonista, Oskar, nove anni, in giro per New York a cercare cosa si possa aprire con la chiave che ha trovato e che il papà ha lasciato come eredità emotiva dopo essere morto nell’attentato delle Torri Gemelle.

Ora il film sta facendo commuovere l’America d’Obama proprio mentre si trova a dover scegliere tra la possibilità di continuare la strada intrapresa o cambiare rotta, con le ferite ancora mezze aperte di quell’ormai lontano (ma incredibilmente vicino) 11 Settembre. Non so se la pellicola sia forte e toccante come il libro, ma certo ha un pregio, a priori. Dimostra come una comunità possa assimilare una vicenda tanto cruda e cruenta ri-raccontandola con le parole della quotidianità e della esperienza ingenua di un bambino. La tragedia diventa così più digeribile, assume i tratti di una storia personale, più calda del racconto giornalistico, più vera della cronaca, meno rancorosa. Anche così un paese riesce a superare i momenti più bui della propria storia: guardando il dramma con gli occhi di un bambino. Riscoprendosi giovane e capace di inedito affetto.

Il merito di Jonathan Safran Foer è, quindi, politico. Offre all’America la possibilità di ripensarsi, di superare la rabbia cieca e la volontà di vendetta mescolandole con lo stupore ingenuo di un ragazzino. Nel percorso di Oskar c’è infatti il cammino di chi non s’arrende e si mette alla ricerca di una risposta. Il bambino ha una chiave, di metallo, fisica, da tenere in mano. Gli americani hanno una possibilità; sentirsi famiglia, accettare quel che è stato. Ripensarsi.

Ecco perché un contemporaneo Safran Foer servirebbe anche a noi italiani. Per raccontarci in modo diverso, per superare con la catarsi della narrativa i tempi bui della nostra storia.  





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