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Dagospia, l’invasione degli ultrasgorbi

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D’accordo, lo confesso: ieri sera ero alla festa per i dodici anni di Dagospia. Sono entrato nel tempio del Cafonal, ho incontrato sacerdoti e sacerdotesse del trash romano e ne sono uscito con uno stato d’animo sospeso tra la pena e la tenerezza. Ho visto tante di quelle facce trasformate dal bisturi che stanotte ho sognato zigomi posticci volteggiarmi attorno, mummie cadenti ingioiellate e politicanti goderecci che si muovevano freneticamente al ritmo della disco music.

Ho visto Franco Califano, solo e malinconico, sorseggiare un drink seduto a un tavolo nascosto; la deputata Pdl Gabriella Giammanco posare al photocall come una velina qualsiasi; il redivivo Augusto Minzolini inviare ossessivamente messaggini dal cellulare; Lucrezia Lante Della Rovere assistere annoiata allo spogliarello di due procaci fanciulle con i lustrini sui capezzoli; Barbara Palombelli arrivare trafelata senza un filo di trucco; Gianni Boncompagni e Irene Ghergo guardare tutti dall’alto verso il basso come è loro costume; Enrico Lucherini omaggiato come il Papa da una schiera multiforme di nani e ballerine; la coppia bipartisan Francesco Boccia e Nunzia De Girolamo (con pancione annesso) arrivare a tarda serata accolta come Brad Pitt e Angelina Jolie; giornalisti sedicenti progressisti a loro agio tra gnocche stratosferiche e vuoto cosmico; addetti stampa e portavoce di imprese e politici alla ricerca disperata di un nuovo contatto; la Sora Cesira, icona della satira 2.0, esibirsi live in un medley delle sue parodie; Stefano Disegni e Fulvio Abbate, Gabriella Sassone e Marco Giusti. E ovviamente lui, Roberto D’Agostino, sempre più simile a un Keith Richards all’amatriciana, tatuato fin sui lobi delle orecchie.

Un campionario di freak e fricchettoni, molti dei quali si definiscono fieramente “de sinistra”, che nemmeno il museo delle cere di Madame Tussauds! Sarà anche tempo di crisi, sobrietà e loden, ma il sottobosco trash della Capitale è più vivo che mai. A riprova che un Monti non fa primavera e che prima di uscire dal tunnel della vacuità perenne dovrà passare qualche generazione. Non per fare lo snob, per carità, ma quella gente mi ha fatto paura. E prometto solennemente di non frequentarla più, altrimenti potrei avere la tentazione di tirarmi su gli zigomi fino a non poter più aprire gli occhi. È l’invasione degli ultrasgorbi, è il dagostinismo che si fa religione di Stato. E io, se permettete, voglio restare ateo.

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