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Il coraggio di parlare di Dio (non di religione) a scuola

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 “Maestro ma tu sei credente? Preghi la Madonna di Medjugorje? Pensi a Dio?”. Matteo è appena tornato da un pellegrinaggio in Bosnia ed è rimasto folgorato dalla religiosità che si respira sulla collina del Krezevac tanto da voler donare, a me ateo, un’immaginetta della Madonna. Quale occasione migliore per parlare in seconda elementare di Dio. Discorso già affrontato in occasione della morte del nonno di Piush, bruciato nel fiume sacro del Gange.

Parlare di Dio, con i bambini è un’occasione straordinaria soprattutto ora che nelle classi ci sono musulmani, induisti, cristiani cattolici, cristiani ortodossi. Ogni volta che l’ho fatto ho imparato qualcosa. Lo dice bene lo psicoterapeuta Domenico Barrilà nell’ultimo suo libro dedicato ai bambini, “Il coraggio di pensare a Dio” (Carthusia edizioni), che verrà presentato alla Fiera del Libro di Torino il 13 maggio: “I bambini e gli adulti si contagiano in continuazione, sebbene gli adulti pensino di non avere nulla da imparare dai bambini e questi siano convinti di non avere nulla da insegnare agli adulti”.

Nel libro Barrilà, grazie alle illustrazioni di Emanuela Bussolotti, riesce a spiegare ai più piccoli i grandi perché della vita che attraversano la filosofia, che affascinano chi ha fede (non religiosità), che mettono in ricerca chi non crede (“A volte si deve cercare un po’ prima di trovare il proprio modo di vedere le cose” svelando un Dio che non è costruito a dimensione dell’uomo o che risponde alla richiesta di prendere un bel voto.

Ai miei bambini, proprio come fa Barrilà in questo libro non do risposte ma invito a cercarle, ponendosi le stesse domande che la cavalletta e la lucciola, fanno ai bambini protagonisti de “Il coraggio di pensare a Dio”: “I fanatici – racconta la lucciola – vogliono farci credere solo nelle cose vecchie. Chi può dire davvero di sapere la verità?”.

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