Al momento non sembrano emergere profili di natura penale. Ma rimane il nodo legato a un’esigenza: uno stipendio da arrotondare per gli oltre 30 infermieri del policlinico Sant’Orsola e di altri ospedali da mesi nel mirino dei controlli del secondo gruppo della guardia di finanza di Bologna. Al momento, i militari starebbero conducendo accertamenti di natura fiscale e amministrativa e finora, in base alle posizioni esaminate, non sono state formulate ipotesi di reato come la truffa. Semmai  problemi per i dipendenti dell’ospedale universitario potrebbero essere di tipo contrattualistico e disciplinare.

A stabilirlo sarà la conclusione delle verifiche iniziate un anno fa, in periodo di preparazione di Cud, il certificato unico dipendente che il datore di lavoro emette per attestare l’ammontare dei redditi percepiti nel corso dei 13 mesi precedenti. Come detto da Lidia Marsili, responsabile della direzione amministrazione del personale del Sant’Orsola, al Corriere di Bologna che ha sollevato il caso, “nel valutare la pratica di un dipendente ci siamo accorti di un secondo Cud, oltre a quello emesso da noi. Come dipendente a tempo pieno questo era assolutamente incompatibile. Abbiamo quindi attivato un procedimento disciplinare e abbiamo segnalato l’accaduto alla guardia di finanza, come prevede la norma”.

Da questa prima irregolarità, si è proceduto a estendere i controlli e, in base alle informazioni al momento disponibili, sarebbe emerso che per oltre trenta dipendenti, pare tutti inseriti tra il personale infermieristico, c’era il normale turno in corsia e poi se ne aggiungeva un secondo, talvolta in cliniche private. Per risalire a loro, le Fiamme Gialle hanno contattato una cooperativa che opera nell’ambito sanitario e che risulta avere alle proprie dipendenze il “caso zero”. Di qui è stata rapida la ricostruzione della lista dei nominativi la cui posizione è da accertare.

E dai riscontri sembra evidenziarsi il fatto che diverse delle persone segnalate pare abbiano agito in buona fede, non immaginando o non ricordando i pur stringenti vincoli del proprio contratto di lavoro “principale”. Tra chi lavora per il pubblico – e tra questi non ci sarebbero solo nominativi inseriti nel Sant’Orsola, ma anche in altri nosocomi bolognesi – non ci sarebbero poi infermieri che avrebbero “marcato visita” mettendosi in malattia per svolgere gli incarichi che fruttavano un secondo compenso mensile. Lo stesso dicasi per i periodi di ferie. E la pratica sarebbe stata vissuta in termini di tale apparente ingenuità da far aprire a qualcuno addirittura una partiva Iva personale.

Inoltre, a far pensare alla buona fede di cui sopra e dunque a ventilare la possibilità che non ci saranno ricadute dal punto di vista penale per la maggior parte delle persone coinvolte, c’è anche il fatto che hanno regolarmente dichiarato i redditi percepiti. Alla peggio, insomma, gli infermieri finiti all’attenzione dalla guardia di finanza potrebbero rischiare il risoluzione del contratto di lavoro. Che, tradotto in altre parole, significa licenziamento per giusta causa, una prospettiva comunque non confortante considerando l’andamento degli indici occupazionali.

Ma rimane il fatto che, per capire nel dettaglio cos’è accaduto e se tutti abbiano davvero agito per necessità a fronte di stipendi evidentemente ritenuti insufficienti, occorre attendere la fine dei controlli. Solo allora si saprà se qualcuna di queste posizioni sarà trasmessa alla procura della Repubblica. E lo spettro di un caso divenuto pubblico lo scorso novembre, spettro che acuisce l’attenzione del settore amministrativo del Sant’Orsola, si aggira ancora per i padiglioni ospedalieri. Era il caso di una dipendente “super assenteista” che, come appurato in quel caso dai carabinieri del Nas di Bologna, aveva effettuato 6 giorni di lavoro in 9 anni. Dopodiché, dal 2001 al 2010, era rimasta a casa per presunte malattie professionali e per gravidanze, con un’unica eccezione, mai avvenute.

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